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[personal profile] kurecchi
TERZA MISSIONE - Un nome, una chiave
Titolo: Matsuyami
Prompt: Iniziale del mio nick (M) - Titolo iniziale nick (M) - "nome/i" all'interno de
Rating: NSFW
Personaggi: Mitsuri Kanroji, Original Character, Rengoku Kyojuro (solo alla fine)
Warning: What if?, Demon!Rengoku, Future Demon!Mitsuri, Violenza, Sangue
Note: Matsuyami (松闇) – Unione di Matsuri (festival) e Yami (oscurità),
Parole: 6800


Mitsuri aveva atteso quel festival per mesi.

Era una delle festività più importanti del suo distretto, e tra gli spettacoli che venivano proposti ogni anno e le varie attrattive, vi erano sempre decine di bancarelle piene di prelibatezze che Mitsuri amava assaggiare… eppure, in quel momento, lei sentiva di non avere nulla per cui festeggiare, perché tutto di quel festival le faceva venire quasi voglia di piangere per la frustrazione.

Sarebbe stato facile dire che erano stati dei semplici dango a rovinarle la serata, ma alla fine Mitsuri sapeva che i problemi erano iniziati già da tempo, e che in parte era stata lei stessa a fare in modo di trovarsi da sola, seduta in un’isolata bancarella che preparava dello yamakake udon.

Prima del compimento dei suoi diciassette anni, Mitsuri non aveva mai dato realmente peso alla sua forza fuori dal comune, né ai suoi insoliti capelli rosa e verdi. Si era sempre sentita speciale, e i suoi genitori l'avevano supportata in ogni istante, senza mai farla sentire diversa. Tuttavia, era dovuta scendere a patti con il fatto che la sua normalità poteva essere considerata strana e terrificante dalle altre persone.

Era stata lasciata dal suo primo corteggiatore proprio per quel motivo, e le parole dispregiative che l’uomo aveva usato per descriverla l’avevano ferita a tal punto da portarla a pensare, e a convincersi, di essere lei in errore.

Ciò che per Mitsuri era sempre stato speciale, per gli altri era spaventoso e anormale, e le era venuto davvero spontaneo prendere in considerazione il doversi uniformare e nascondere ciò che la rendeva diversa.

Mitsuri si era quindi imposta di cambiare pur di non essere più vista come un mostro. Aveva iniziato una dieta ferrea, aveva finto di essere debole e si era infine tinta i capelli pur di apparire normale agli occhi di un possibile corteggiatore.

Aveva iniziato a vivere in un costante stato di debolezza e fame per la mancanza della sua solita alimentazione, e i suoi stessi genitori si erano mostrati preoccupati per lei a causa dei capogiri che di tanto in tanto la facevano barcollare.

Era difficile, e anche doloroso mantenere quella maschera… ma alla fine aveva funzionato. Il suo sforzo l'aveva ripagata con un giovane uomo, di buona famiglia e di bell’aspetto, che si era interessato a lei.

Si sarebbero potuti sposare al termine del periodo di corteggiamento, ed era tutto quello che Mitsuri aveva sempre desiderato, come una qualsiasi ragazza della sua età.

Il solo pensiero le aveva fatto sfarfallare il cuore.

La realtà, però, si era mostrata in modo nettamente diverso da come l’aveva sognata. Perché anche se il suo sogno era lì a portata di mano, Mitsuri non si sentiva se stessa, e non riusciva neanche ad essere felice.

Sorrideva, e ridacchiava educatamente quando necessario, ma non poteva fare a meno di chiedersi se fosse corretto nascondersi in quel modo.

Per essere amata e accettata, doveva per forza essere un'altra persona? Lei, Mitsuri Kanroji, non andava bene?

Era pazzesco, e assurdo! Ingiusto tanto nei suoi confronti quanto in quelli della persona che avrebbe dovuto sposare. Ma quali altre possibilità aveva?

Se avesse mostrato i suoi capelli, la sua forza o il suo appetito, chiunque l’avrebbe vista come un mostro, e Mitsuri non voleva restare sola.

Forse stava esagerando, perché in fondo aveva solo diciassette anni, ma le sembrava di essere giunta davanti a un muro talmente alto da non poter essere superato, se non con il sacrificio della sua intera personalità.

Era davvero terribile e doloroso. Però, testarda e terrorizzata dall'idea di una vita in solitudine senza amore, aveva stretto i denti pur di continuare a frequentare il suo corteggiatore.

I giorni erano diventati settimane, e queste infine erano diventate un mese. L'estate era giunta nel distretto, e l'aria di festa aveva riempito le strade e gli animi delle persone.

Mitsuri aveva sinceramente gioito quando il suo corteggiatore l'aveva invitata al festival, e pur sentendosi debole per la mancanza della sua solita alimentazione, aveva cercato di godersi gli spettacoli e gli eventi della festa che tanto aveva atteso.

Il suo corteggiatore era davvero un bravo ragazzo. Era gentile, bello, e aveva anche un buon senso dell’umorismo: sarebbe sicuramente stato un ottimo marito.

Mitsuri si era permessa di fantasticare sul suo futuro, bisognosa di inseguire la felicità che tanto desiderava, ma nonostante tutto si era resa conto di non riuscire a immaginare quel giovane uomo accanto a sé.

Vedeva chiaramente lei stessa con le vesti da matrimonio, poteva anche immaginare almeno cinque bambini, ma non vedeva il suo corteggiatore come il compagno con il quale avrebbe diviso la sua vita.

Sarebbe stato un buon marito, ma non per lei. 

Mitsuri, scossa da quei pensieri che aveva cercato in ogni modo di mettere a tacere, aveva provato ancora una volta a godersi la festa perché sentiva di non potersi permettere ripensamenti.

I suoi dubbi però tornarono a galla con prepotenza davanti a una bancarella con dei semplicissimi dango. In passato ne avrebbe ordinati una dozzina, e li avrebbe mangiati con gusto, riempiendo di complimenti la persona dietro la bancarella.

Quelli però erano dolci per bambini, o adatti alla cerimonia del tè. Non erano dolci per una ragazza in età da marito e, anche se si trattava di un'occasione di festa, lei doveva in ogni caso darsi un contegno.

Sentiva il cuore pesante e lo stomaco brontolare per la fame, e quella sensazione divenne ancor più opprimente quando alle sue narici iniziarono giungere anche tutti gli altri piacevoli odori delle prelibatezze che il festival aveva da offrirle e che sarebbe stata costretta a rifiutare.

Aveva superato la bancarella con i dango, ostinata e disperata, e un capogiro l'aveva fatta barcollare segnando in qualche modo la caduta della maschera che stava cercando di tenere sul viso.

Mitsuri era certa che non si sarebbe riconosciuta in quel momento se si fosse guardata allo specchio, ed era terrorizzata da quel pensiero, ma soprattutto dal fatto che il prezzo da pagare per sposarsi le sembrava troppo caro.

Ne valeva la pena?

Conosceva la risposta, e sapeva anche di non voler più fingere. Mitsuri voleva essere se stessa ed essere libera di mangiare quanto e quando voleva. Voleva mostrare i suoi assurdi capelli rosa e verdi, e anche sfoggiare la sua forza. Ma più d'ogni altra cosa, Mitsuri voleva qualcuno che l'amasse per quello che era e non per la maschera che aveva addosso… e sapeva che l'uomo che la stava corteggiando non era quello giusto.

L’euforia per quella presa di posizione le strappò un primo e vero sorriso dopo settimane, e dopo essersi scusata, esibendosi in una decina di inchini, aveva lasciato l'uomo che la stava accompagnando nel bel mezzo del festival, interrompendo non solo il corteggiamento ma anche il loro appuntamento.

Si era sentita libera in un primo momento. Felice per essere riuscita ad affrontare quell’ostacolo rappresentato dalla sua anormalità. Tuttavia, come se non le fosse neanche permesso di concedersi quel breve momento di gioia, Mitsuri aveva sentito il peso del suo gesto iniziare a gravare sulle spalle.

Sapeva di doversi ritenere sollevata all’idea di non essere caduta in un matrimonio nel quale sarebbe stata costretta a nascondere la sua intera personalità, ma dall’altra parte non poteva non chiedersi se sarebbe mai esistita una persona in grado di amarla e proteggerla… o anche solo di accettarla.

Dentro di sé sapeva di non avere colpe, e di aver fatto il possibile per farsi accettare e amare, eppure era ugualmente impossibile continuare nascondere la sua costituzione fisica, il suo aspetto e l’appetito: erano parte di lei.

Avrebbe fatto di tutto pur di avere un po' di comprensione.

I capogiri alla fine erano tornati mentre tornava verso la sua casa, e per saziare la sua fame, e anche per mettere a tacere quei pensieri, Mitsuri aveva scelto di rintanarsi in una bancarella un po’ distante dai festeggiamenti principali, e lì aveva ordinato delle porzioni di udon che aveva subito iniziato a mangiare.

Sulle prime, aveva sentito un'ondata di sollievo nel potersi finalmente concedere un vero e proprio pasto più sostanzioso, ma lentamente si era resa conto di non riuscire a gustarlo.

Gli udon che le erano stati serviti erano sicuramente deliziosi, però non ne avvertiva né il sapore né il profumo. Sentiva la fame e il bisogno di mangiare, eppure non provava la solita gioia che le riempiva il petto quando gustava qualcosa di buono.

Quella serata non poteva andare peggio.

Mitsuri finì la sua seconda porzione e, sforzandosi di mantenere un tono di voce tranquillo, ne ordinò un’altra al venditore che, nonostante fosse spiazzato dal nuovo ordine, si mise subito al lavoro. Lo osservò in silenzio, sperando che una notte di riposo a casa la potesse aiutare a vedere il mondo in modo meno cupo e negativo, perché nonostante il sollievo le sembrava quasi di vedere tutto quello che la circondava attraverso una scala di grigi.

«Vedo che hai proprio un gran appetito!»

Una voce nuova, maschile e sconosciuta, distolse Mitsuri dai suoi pensieri. Sobbalzò visibilmente e, portandosi entrambe le mani al petto come per proteggersi, si voltò verso la persona che aveva appena raggiunto la bancarella.

Era un uomo giovane, con incredibili occhi color dell’oro e i capelli neri raccolti in un'ordinata coda dietro la nuca. Indossava un kimono elegante, che metteva in risalto il suo aspetto piacevole e gentile. Infatti, notò subito Mitsuri, l’uomo le stava sorridendo con fare amichevole e per niente canzonatorio.

Il nuovo arrivato sembrò rendersi conto di averla agitata con la sua improvvisa affermazione, e si concesse una timida risata di circostanza.

«Mi dispiace! Non era mia intenzione spaventarti!» si scusò. «È che… non capita tutti i giorni di vedere una fanciulla mangiare con così tanto appetito.»

«N-non si scusi! Io… non…» balbettò Mitsuri scuotendo il capo. Si sentì sul punto di chiedere scusa per la sua alimentazione, ma l’uomo che aveva raggiunto la bancarella riuscì a stupirla.

«Lo trovo davvero… bello!»

Era una semplice frase che però lasciò Mitsuri spiazzata.

Quell'uomo aveva realmente definito 'bello' il suo appetito?

L’uomo continuò a sorriderle senza mostrare tracce di menzogna, e prese posto in una delle sedie della bancarella - non accanto a lei, quello sarebbe stato fuori luogo, ma si tenne educatamente distante.

«Trovo che le donne con un buon appetito siano più… affascinanti. Sono forti e piene di energia,» riprese l'uomo, per poi assumere un’espressione quasi imbarazzata. «Non è comunque mia intenzione importunarti, ma a volte fatico a stare zitto.»

Mitsuri sentì quasi di volersi ribellare a quel brevissimo scambio di parole. Si trattava di un istinto primordiale, che le stava suggerendo di non fidarsi di quell’uomo… tuttavia era anche la prima volta che qualcuno esprimeva interesse per il suo essere così anomala. Le sembrò scontato pensare che quelle sensazioni negative fossero dettate dalla delusione per quella serata che tanto aveva atteso.

Forse era rimasta scottata, e non si sentiva pronta a credere che qualcuno potesse trovarla interessante e non mostruosa. Forse era per quel motivo che sentiva il suo corpo tremare e tendersi come la corda di uno shamisen.

Stava cercando di difendersi dell'ennesima delusione, anche se l'uomo sembrava sincero.

«N-non mi sta importunando…» pigolò, mentre davanti a lei veniva posta la nuova ciotola di udon.

Sentì un profumo invitante, e le sembrò quasi di sentirlo per la prima volta.

Le era bastato solo un atto di gentilezza.

Mitsuri esitò per un momento, e permise ad un pensiero folle di attraversarle la mente.

Strinse le labbra in una piccola smorfia e, dopo aver lanciato un’occhiata all’uomo, iniziò a mangiare quasi di gusto, alimentando una minuscola fiammella di speranza che le diceva che non sarebbe stata giudicata.

Sentì su di sé lo sguardo dell’uomo ma nessun commento lasciò la sua bocca, e Mitsuri si sforzò di non guardarlo per non spezzare quella sorta di incantesimo.

Solo quando appoggiò di nuovo la ciotola, Mitsuri osò rivolgere lo sguardo verso l’uomo, e si stupì nel non trovare uno sguardo disgustato: vide invece un sorriso affascinato e curioso.

«Spero di non sembrare… invadente, e ti chiedo di perdonare il termine: ma sei la donna più deliziosa che io abbia mai visto.»

Mitsuri sentì il viso andarle in fiamme e il cuore balzarle alla gola. Forse si stava lasciando condizionare troppo dal fascino di quell’uomo, e dalle considerazioni e desideri che l’avevano portata a lasciare il suo corteggiatore, ma per lei quella era davvero la prima volta che non si sentiva imbarazzata per il suo appetito.

Chissà se quell’uomo avrebbe apprezzato o trovato interessanti anche i suoi capelli, si chiese accarezzandosi le trecce che aveva tinto di nero qualche giorno prima - il colore stava già sbiadendo e le sarebbe bastato lavarli un altro paio di volte senza aggiungere il colorante per tornare al suo colore naturale.

Era ingenuo da parte sua, e sentiva ancora ogni fibra del suo essere dirle che non doveva fidarsi, ma dall’altra parte… non voleva chiudersi del tutto a riccio.

«I-io… non credo di aver afferrato il vostro nome, signore,» esordì, e l’uomo continuò a sorriderle, sempre affabile e tranquillo.

«Mi chiamo Hanamatsu,» si presentò. «Ed io posso chiederti il tuo nome?»

«Kanroji Mitsuri…»

«Kanroji-san, è un piacere fare la tua conoscenza.»

Un altro brivido percorse la schiena di Mitsuri, ma ancora una volta la giovane donna cercò di ignorarlo e di convincersi che, anche se fosse stato un malintenzionato, lei era abbastanza forte per difendersi.

Il rintocco di una delle campane cerimoniali fece sobbalzare Mitsuri che, istintivamente, si voltò verso il fulcro della festa.

Presto, si rese conto, sarebbe iniziato lo spettacolo con i fuochi d’artificio. Inizialmente il suo piano della serata riguardava il vedere lo spettacolo con il suo accompagnatore, ma in quel momento era sola. Sarebbe dovuta tornare a casa visto che non era accompagnata.

«Kanroji-san, stai aspettando qualcuno?» domandò Hanamatsu e la giovane donna si rivolse di nuovo a lui.

«Uhm… il mio accompagnatore ha… avuto un contrattempo,» mentì.

L’uomo si mostrò sorpreso.

«Mi dispiace,» rispose per poi accennare un sorriso quasi timido. «Ma… non posso non pensare di potermi ritenere fortunato, perché è grazie alla sua assenza se ti ho incontrata. È troppo se ti chiedo di guardare i fuochi d’artificio con me? E… ti accompagnerò anche a casa, non è sicuro per una signorina così giovane muoversi da sola.»

Quella frase colpì particolarmente Mitsuri, perché l’idea della protezione che le veniva offerta genuinamente da quell’uomo era piacevole.

Era quello che desiderava.

Sentì il viso andarle a fuoco e fu subito sul punto di accettare la proposta perché sentiva di aver bisogno di quelle sensazioni, e a quell'uomo erano bastate pochissime frasi per farla sentire accettata. Ma l'istinto continuava a suggerirle di tornare a casa e di dormirci su… e decise di dare ascolto a quelle sensazioni.

Era stata una giornata intensa ed era certa che avrebbe visto tutto sotto un'ottica diversa l'indomani mattina.

«Sarebbe un vero onore per me, Hanamatsu-san,» rispose cordiale. «Ma temo di dover rifiutare l'invito.»

La delusione per l'aver rifiutato l'invito si mischiò al sollievo, e Mitsuri sperò che l'uomo capisse e che… la cercasse nei giorni seguenti.

Sarebbe stato romantico. Magari l’indomani si sarebbe presentato a casa sua, in fondo conosceva il suo nome, e avrebbe chiesto ai suoi genitori il permesso di corteggiarla!

Sentì il viso colorarsi di rosso per quei pensieri.

Hanamatsu, sorprendentemente, non si mostrò insistente. Si offrì però di accompagnarla a casa, e davanti al secondo rifiuto di Mitsuri le chiese di stare attenta e di passare una bella serata.

Era comprensivo e gentile. Perfetto sotto ogni punto di vista, e Mitsuri, con l'animo più leggero, non poté non pagare il conto e lasciare la bancarella e quell'uomo per potersi avviare a casa.

Mitsuri si sentiva quasi su una nuvola. I suoi passi erano leggeri e la sua testa vorticava piacevolmente. Le sembrava che il mondo avesse finalmente ripreso colore e non poteva non sperare di rivedere Hanamatsu a casa sua nei giorni successivi.

Magari dopo la benedizione dei suoi genitori e aver iniziato a frequentare Hanamatsu come un possibile corteggiatore, Mitsuri sarebbe riuscita a mostrarsi a lui con il suo vero aspetto.

L'avrebbe stupito? Sicuramente, ma sperava di farlo in maniera positiva!

Sentì le labbra spingere ancora di più verso l’alto, e al nuovo rintocco della campana cerimoniale - che la fece sobbalzare ancora una volta - sentì un fastidioso e improvviso dolore alla nuca, e infine il buio.



.-.-.-.



Quando Mitsuri riprese i sensi, le sue narici vennero invase da un nauseante odore di carne e sangue.

Era confusa e le faceva male la testa. Inoltre, sentiva anche dei rumori strani, ma non riusciva a comprenderne la natura.

Il suo corpo stava lentamente recuperando la sensibilità, e la prima cosa che fece nascere in lei un vero e proprio campanello d’allarme fu il sentire le braccia tirare dolorosamente verso l’alto. Provò a muoverle, ma non riuscì nel suo intento.

Mitsuri tentò allora di muovere le gambe ma comprese subito che i suoi piedi non toccavano per terra.

Il panico la svegliò del tutto e, sgranando gli occhi, Mitsuri si guardò intorno quasi senza fiato.

Era notte, e lo stabile nel quale si trovava era semi-illuminato dalla flebile luce della luna e dalla altrettanto debole illuminazione urbana.

Lo stabile, si rese conto Mitsuri prestando più attenzione, era un mattatoio. Era riconoscibile dall’odore e dai numerosi ganci che pendevano dal soffitto… e lei stessa, con i polsi legati da delle corde, era appesa come un pezzo di carne.

Mitsuri ansimò e continuò a guardarsi attorno mentre il dolore alle braccia e ai polsi iniziava a farsi sempre più acuto. I suoi occhi scorsero subito una figura a pochi metri da lei.

Quella figura, dai tratti quasi umanoidi, era ricurva per terra, sopra quello che a Mitsuri sembrò un pezzo di carne. Aveva degli arti insolitamente lunghi e stava mangiando. Staccava a morsi la carne e la masticava facendo un rumore quasi osceno.

Era un animale? Cosa stava succedendo? Che cosa le era successo?

Mitsuri era troppo confusa e spaventata per comprendere, non ricordava neanche che cosa le fosse accaduto per ritrovarsi in quella situazione.

Boccheggiò ancora, permettendo al panico di impedirle di respirare normalmente.

Ricordava che si trovava alla festa del suo distretto e stava tornando a casa. Ricordava il rintocco della campana cerimoniale e… si era svegliata in quel luogo!

Mitsuri continuò a guardarsi attorno alla ricerca di qualsiasi cosa che potesse esserle d’aiuto in quel momento, ma i suoi occhi tornavano sempre su quell’essere e sugli osceni rumori che faceva mentre masticava la carne.

Non sembrava un animale, ma non sembrava neanche un umano.

Era stato quel mostro ad aggredirla? Voleva… mangiarla?

Mitsuri cercò di nuovo di calmarsi e di allontanare quel folle pensiero. Provò a regolarizzare il respiro senza alcun risultato, infatti ne perse totalmente il controllo quando le nuvole all’esterno della struttura si mossero lentamente.

I raggi della luna penetrarono attraverso le finestre del mattatoio andando a illuminare l’essere e il pezzo di carne… e in quel momento Mitsuri comprese che nulla sarebbe mai stato in grado di placare la sua paura.

Un viso giovane e femminile, stravolto dalla paura e dal dolore, la stava fissando con occhi vitrei.

Il pezzo di carne era una donna.

Indossava un kimono nero - no, si rese conto Mitsuri, era solo zuppo di sangue -, e non aveva più né le braccia né le gambe.

Parte del petto della donna era squarciato a mostrare gli organi interni, che venivano estratti e divorati dall’essere dalle fattezze quasi umanoidi che torreggiava sopra quel corpo.

Mitsuri emise un gemito soffocato e cercò istintivamente di muoversi, animata dal bisogno di fuggire e di mettersi in salvo, ma riuscì solamente a dondolare sul gancio che la teneva appesa e ad attirare in quel modo lo sguardo dell’essere.

Lo vide alzare il viso, sporco di sangue, e un sorriso trasfigurò i suoi tratti.

«Kanroji-san, ben svegliata,» la salutò, e Mitsuri riconobbe subito quella voce.

La pelle chiara, quasi cadaverica, era sporca di sangue e due grosse corna spuntavano dalle tempie dell’essere, mentre i lunghi capelli neri ricadevano scomposti sulle spalle.

Era Hanamatsu.

Mitsuri sentì quasi il bisogno di urlare ma dalla sua gola non uscì nessun suono.

Scioccamente pensò al suo istinto, che l'aveva messa in guardia sin da subito sull'uomo, ma non provò alcuna soddisfazione perché si rese conto che, istinto o meno, si sarebbe trovata in quella trappola a prescindere: perché Hanamatsu l'aveva scelta come preda.

«Mi dispiace se ho iniziato senza di te, ma ti ho lasciato per ultima. Perché sono certo che sarai la più deliziosa di tutte,» continuò Hanamatsu.

La sua voce non era più tranquilla e amichevole, ma canzonatoria e crudele.

«P-perché?»

Il mostro rise, e quando la luce della luna venne di nuovo oscurata, Mitsuri vide solamente i suoi occhi nel buio. Erano gialli e luminosi. Terrificanti.

«Sciocca ragazzina,» rispose Hanamatsu, staccando a morsi un altro pezzo di carne dal cadavere ai suoi piedi. «Qui funziona così: voi siete le mie deliziose prede.»  

Mitsuri ansimò.

Aveva voglia di piangere e di gridare, ma l’istinto di sopravvivenza - quello che l'aveva portata a rifiutare l'invito di Hanamatsu - le suggeriva di non lasciarsi andare alla disperazione.

Sapeva che le sarebbe bastata una sola distrazione o esitazione e… sarebbe morta.

Nonostante le lacrime che avevano iniziato a farle pizzicare gli occhi, Mitsuri si aggrappò alla sua voglia di vivere e alla forza che sapeva di aver sempre avuto. Non poteva arrendersi.

Riprese a guardarsi attorno, ma per quanto Mitsuri stesse cercando di pensare a una via di fuga non ne vedeva nemmeno una. Era appesa come un pezzo di carne, i suoi piedi non toccavano neanche la terra e le facevano male i polsi e le braccia - tiravano dolorosamente, e ogni movimento che tentava di compiere le graffiava la pelle.

Mitsuri sapeva di essere in trappola, ma quello non le impedì di cercare di dondolare, nella speranza di far scivolare il gancio, che la teneva appesa, fuori dell'anello di metallo. Avrebbe avuto bisogno di più spinta, ma Mitsuri non voleva lasciare nulla di intentato.

Non voleva morire.

I due pezzi di ferro iniziarono a stridere l'uno contro l'altro a causa dei suoi movimenti, e Hanamatsu rise palesemente divertito.

«Lo sapevo che eri una combattente~» commentò, alzandosi lentamente dalla donna che aveva smembrato e divorato. «Quando ti ho vista mangiare non ho potuto fare a meno di pensare a quanto saresti stata deliziosa. Le donne con un buon appetito sono quelle più saporite.»

Mitsuri tremò, e provò istintivamente a farsi indietro quando il mostro avanzò verso di lei, ma ovviamente era inerme e immobilizzata in quella posizione.

«Non avvicinarti!» gridò. La sua voce riecheggiò sinistra tra le silenziose mura del mattatoio, seguita subito da un'altra risata di scherno di Hanamatsu.

«Inutile dire che nessuno ti sentirà qui, anche se urli,» ribatté sarcastico, allungando una mano verso il viso di Mitsuri.

Mitsuri ansimò e tirò indietro il capo per sottrarsi alla mano sporca di sangue di Hanamatsu, ma il mostro riuscì ugualmente ad afferrarla.

Le dita affondarono sulla pelle morbida delle sue guance, costringendola a tenere la testa ferma.

Era doloroso, ma Mitsuri lo trovò sopportabile, forse a causa della paura che le stava gelando il sangue in corpo.

«Da dove posso iniziare a mangiarti?» si chiese a voce alta Hanamatsu, mostrando i denti appuntiti e insanguinati.

Mitsuri si sentì di nuovo sul punto di scoppiare a piangere, e in un ultimo e disperato tentativo di fuga, riprese ad agitarsi.

«LASCIAMI!» gridò e, raccogliendo tutte le sue forze, Mitsuri colpì Hanamatsu con un forte calcio che lo fece cadere a qualche metro di distanza da lei.

Mitsuri sentì le unghie del mostro graffiarle il viso, ma ignorò quel dettaglio quando si trovò con la schiena per terra. La forza del suo calcio aveva generato una spinta tale da riuscire, senza neanche volerlo, a liberare il gancio in metallo dell'anello.

Emise un lamento, ma non si fermò a pensare al dolore o al fatto che quella botta le avesse mozzato il fiato, perché aveva un'opportunità di scappare e non poteva lasciarsela sfuggire!

Si alzò cercando di essere più rapida possibile, e pur incespicando sul kimono, iniziò a correre lontano da Hanamatsu, sperando di trovare al più presto l'uscita.

Gli occhi di Mitsuri scattavano da un lato all’altro della struttura per orientarsi, ma ancor prima di riuscire a individuare una qualsiasi porta o un rifugio, Mitsuri si sentì afferrare per i capelli.

Gridò per il dolore, e quel lamento divenne un gemito basso e soffocato quando venne tirata all’indietro con violenza. La sua schiena sbatté contro una parete e le sue gambe cedettero, facendola scivolare per terra.

Mitsuri sentiva la testa pulsare dolorosamente, non solo nel punto dove era stata strattonata, ma le sembrava proprio di sentire un cerchio stretto attorno al capo.

Hanamatsu invece continuava a ridere, crudelmente divertito.

«Mi piace un po’ di sfida,» dichiarò il mostro. Era di nuovo su di lei e l’odore del sangue era ancor più pungente.

Mitsuri strinse i denti e, con ancora le mani legate e il gancio bloccato tra le corde, reagì colpendo Hanamatsu in pieno viso.

Tagliò la carne del viso di netto. Una ferita dai bordi irregolari che andava dalla guancia fino alla bocca. Mitsuri sperava di ferirlo in modo abbastanza grave per avere un’altra occasione per fuggire, ma comprese subito che non sarebbe stato più così facile.

Lo aveva colto di sorpresa la prima volta, ma Hanamatsu non si sarebbe più lasciato sopraffare da lei e dalla sua forza. Ciò che però terrorizzò di più Mitsuri fu il vedere la ferita che gli aveva inferto, luccicante di sangue grazie ai raggi lunari, rimarginarsi rapidamente come se non fosse mai esistita.

Il panico la ghiacciò per un momento, e il sorriso compiaciuto di Hanamatsu le fece desiderare di urlare ancora e di chiedere aiuto… anche se sapeva che nessuno sarebbe arrivato. Mitsuri ansimò, restando senza fiato nel rendersi conto che, anche se ci fosse stato qualcuno nelle vicinanze, difficilmente sarebbe riuscito ad avere la meglio su quel mostro.

Era forte e veloce. Le sue ferite guarivano senza lasciare traccia.

Nessuno poteva opporsi a lui, e Mitsuri ne era terrorizzata.

«Direi di spostarci in un posto più comodo, Kanroji-san,» riprese il mostro, afferrandola per i polsi e iniziando a trascinarla.

Era finita? Sarebbe morta in quel luogo?

Non avrebbe mai conosciuto l’amore o trovato qualcuno in grado di proteggerla e di farla sentire al sicuro?

Debolmente, Mitsuri tentò di opporsi ad Hanamatsu. Puntò i piedi per terra, ma il mostro continuò a trascinarla senza il minimo sforzo.

Per un brevissimo momento, Mitsuri pensò di supplicarlo, ma nessun suono uscì dalla sua bocca. Sapeva in ogni caso che non sarebbe servito a niente e, sotto un certo punto di vista, sentì un piccolo guizzo d’orgoglio vibrarle in petto: non voleva dare ad Hanamatsu un altro pretesto per ridere di lei e dei suoi tentativi di fuga.

Mitsuri tentò ancora di fare resistenza, ma il mostro la strattonò facendole sbattere le ginocchia per terra.

Forse, si disse Mitsuri quasi distrattamente con i denti affondati nelle labbra pur di non piangere o lamentarsi, se fosse rimasta con il suo corteggiatore non si sarebbe trovata in quella situazione. E fu quel pensiero a farla irrigidire e a farle vedere con più chiarezza ciò che avrebbe dovuto fare: aveva lasciato il suo corteggiatore perché non voleva fingere di essere un’altra persona.

Mitsuri sapeva di essere forte e anche testarda quando voleva… e in quella situazione l’unica che poteva salvarla, o quanto meno combattere per la sua salvezza, era lei stessa. Non c’era nessun’altro.

Aveva paura e sentiva le lacrime pungerle gli occhi, ma doveva combattere ugualmente. Non doveva lasciare nulla di intentato.

Animata da quella presa di posizione, Mitsuri smise di fare resistenza opposta per lanciarsi contro Hanamatsu. Lo colpì tra il fianco e la schiena con una spallata, riuscendo in quel modo a fargli perdere per un momento l’equilibrio.

Nessuno si aspettava la sua forza fisica, ed era palese che Hanamatsu l’avesse sottovalutata. E anche se nessuno aveva mai insegnato a Mitsuri come battersi a mani nude, o ad usare una qualsiasi arma - non erano attività adatte ad una signorina -, lei sapeva di poter ugualmente tentare di stordire Hanamatsu.

Per un momento le sembrò di riuscire nel suo intento, ma pur avendo perso per un momento l’equilibrio, Hanamatsu non crollò.

«Sei più forte di quel che credevo,» commentò, e Mitsuri seguendo il suo istinto provò a colpirlo sia con le braccia, ancora legate per i polsi, che con le gambe per non lasciargli il tempo di capire che cosa stava accadendo e permetterle di trovare una sorta di apertura.

Era un attacco scoordinato e disperato, ma Mitsuri non voleva arrendersi. Voleva e doveva combattere per uscire viva da quella situazione. Doveva stringere i denti e trovare un modo per scappare.

Mirsuri si aggrappò a quella convinzione e al suo desiderio di sopravvivenza, e continuò a ripetere quelle parole anche quando Hanamatsu la colpì in pieno viso facendola cadere sul pavimento sporcò.

La guancia, già ferita, pulsava dolorosamente e Mitsuri sentì il sapore del sangue sulla lingua. Era stordita, ma l’adrenalina e il bisogno di battersi per la sua stessa vita sembrarono quasi soffocare ogni altra sensazione.

“Forza! Combatti!” urlava dentro di sé.

Mitsuri si alzò con qualche difficoltà con i denti stretti, pronta a difendersi, ma Hanamatsu si dimostrò più veloce di lei. Gli bastò un semplice scatto in avanti per raggiungerla e colpirla di nuovo, facendola ricadere per terra.

Un calcio all’altezza dello stomaco la fece rotolare contro la parete, e pur con il fiato mozzato e la schiena ancor più dolorante, Misturi tentò ancora di muoversi e di difendersi, ma il mostro sembrò quasi annoiato dalla testardaggine.

«Per un momento ho pensato che tu potessi fare… di più. Ma alla fine sei solo un’umana,» disse Hanamatsu, mostrandosi deluso.

“Non ascoltarlo! Combatti!” si incoraggiò ancora Mitsuri, provando a fare leva sulle gambe per colpirlo con un’altra spallata, ma le parve di scontrarsi contro un muro.

Ogni singola parte del suo corpo gridava pietà per lo sforzo e il dolore si intensificò quando il mostro le diede un violento calcio sul fianco che la fece sbattere ancora contro la parete.

Altro sangue si riversò nella bocca di Mitsuri e lo sentì colare sul mento mentre, boccheggiando, cercava di respirare. Il solo gonfiare il petto per riempirlo d’aria le faceva male, ma ancor prima di poter ragionare o anche solo spingersi a combattere ancora, Hanamatsu le schiacciò un piede. Mitsuri sentì chiaramente le ossa rompersi e il dolore attraversarle ogni singolo centimetro del suo corpo, e non poté far nulla per bloccare l’urlo che esplose dalla sua bocca.

A quel punto le lacrime iniziarono a scorrere lungo il suo viso senza poter far nulla per trattenerle. Voleva continuare a combattere fino alla fine, ma tutto il suo corpo sembrava essere ormai privo di qualsiasi energia.

Ogni movimento le causava dolore, respirare le sembrava un’agonia. Tutta la sua forza non era bastata per salvarsi… ma non voleva arrendersi.

Le braccia tremarono per lo sforzo ma riuscì ugualmente a sollevarle e a puntare contro Hanamatsu il gancio che ancora era incastrato tra le corde che le tenevano i polsi bloccati. 

Il mostro rise per la sua blanda minaccia, ma Mitsuri non abbassò le braccia nonostante fosse doloroso tenerle sollevate.

«Ammetto che mi hai fatto divertire,» dichiarò Hanamatsu mostrando ancora i denti insanguinati.

Mitsuri sentì gli occhi farsi pesanti. Tutto il suo corpo voleva arrendersi ma dentro di sé, forse per disperazione, sentiva ancora il bisogno di tenere le braccia sollevate e di battersi per la sua vita.

Non doveva perdere i sensi, doveva resistere.

Si sentì afferrare per un braccio e tirare fortissimo.

Alle sue orecchie giunse delle disumane urla di dolore, e solo dopo essersi chiesta a chi appartenessero si rese conto di essere stata lei a gridare in quel modo.

Un braccio, mozzato all'altezza del gomito, penzolava davanti ai suoi occhi e Mitsuri non ebbe neanche bisogno di abbassare lo sguardo per sapere che era suo.

Non riusciva neanche a descrivere il dolore che stava provando in quel momento, ma al tempo stesso la sua mente sembrava quasi lucida.

Sapeva che quella era la sua fine e non poté non rivolgere un pensiero ai suoi genitori, chiedendo loro scusa per non essere tornata a casa.

Hanamatsu aveva iniziato a mordere il braccio che aveva strappato, dilaniando la pelle ed emettendo dei versi osceni.

Quella era la sua fine.

Mitsuri chiuse gli occhi, pronta a lasciarsi andare pur di non sentire più quel dolore. Fu però uno spostamento d’aria, seguito da un gemito di dolore proveniente da Hanamatsu, a spingerla a riaprirli. Nonostante la semi oscurità e le lacrime che le stavano offuscando la vista, Mitsuri vide un’altra figura ferma davanti a lei.

Riuscì a distinguere un haori bianco, dalle estremità rosse che ricordavano quasi una fiamma. Si sforzò di distinguerne i tratti ma la semi oscurità le impediva di scorgere il viso di quella persona sconosciuta che era giunta in suo aiuto.

Qualcuno la stava proteggendo.

Quella sensazione investì Mitsuri in pieno. Faticava a credere che ci fosse realmente qualcuno pronto a difenderla contro quel mostro - le sembrava troppo sciocco sperare in un simile miracolo -, ma al tempo stesso sentiva la presenza forte e rassicurante di quello sconosciuto.

Dolore e speranza si mischiarono alla confusione, e quando Hanamatsu iniziò a parlare, la sua voce si era fatta acuta e disperata, come se fosse spaventato. Non riuscì a comprendere quello che stava dicendo, né la risposta dello sconosciuto ma gli sembrò che Hanamatsu stesse pregando per la sua vità, chiedere perdono e promettere che non si sarebbe più fatto vedere in quella zona, e quando lo sconosciuto lo colpì distruggendolo come se fosse stato fatto di vetro, Mitsuri provò un lieve senso di soddisfazione.

Quel mostro non aveva avuto pietà per lei, non l’aveva avuta per l’altra donna che aveva ucciso: non si meritava il perdono.

Si sorprese un poco per quei suoi pensieri così cupi, ma d’altro canto stava morendo e non voleva sprecare i suoi ultimi momenti rivolgendo un’immeritata gentilezza verso Hanamatsu.

Pensò ancora ai suoi genitori e a tutto ciò che non era riuscita a fare in vita, e… l’amarezza continuò a riempirle il cuore.

Il dolore la faceva sobbalzare ad ogni respiro e le forze stavano iniziando a venirle meno, ma tutto quello che Mitsuri riusciva a pensare riguardava il fatto che non avrebbe mai conosciuto l’amore, alla famiglia che non sarebbe mai riuscita ad avere. Era ingiusto.

Riprese a piangere debolmente, singhiozzando e tossendo quando sentì sulla lingua il sapore del sangue.

Non voleva morire. Voleva vivere ancora e avere tutto quello che aveva sempre desiderato e, soprattutto, voleva essere se stessa.

Tossì ancora, lamentandosi per il dolore, irrigidendosi poi quando lo sconosciuto che l’aveva salvata la raggiunse rapidamente. Indossava un kimono dai caldi colori autunnali, notò distrattamente, e quando Mitsuri ne cercò il viso, continuando a piangere senza riuscire più a fermarsi, rimase sorpresa nel vederlo tanto umano quanto mostruoso.

I suoi occhi erano grandi ed espressivi, color oro e rosso ma dall’insolita sclera nera. Era palesemente preoccupato oltre che dispiaciuto, e sembrava incerto su come comportarsi.

Degli strani simboli erano impressi in quegli occhi e Mitsuri, pur non avendone la certezza, comprese che quello sconosciuto era come Hanamatsu… ma era anche diverso.

L’aveva salvata d’altro canto, anche se era troppo tardi.

«M-mi… di-dispiace…» pigolò Mitsuri tra i singhiozzi, come per scusarsi per quello spettacolo e per il fatto di star morendo. Era stupido ma non si sentiva realmente nel pieno delle sue facoltà mentali.

«Non scusarti,» mormorò lo sconosciuto con voce calda e ferma. «Non gli avrei dovuto permettere di agire così indisturbato… sapeva quali erano le regole e conosceva le conseguenze,» aggiunse con tono nervoso, strappandole la manica del kimono.

Mitsuri sobbalzò e tremò visibilmente quando sentì la stoffa stringersi attorno al suo braccio ferito, nel tentativo di fermare l’emorragia.

Stava davvero cercando di salvarla, era palese che stesse cercando di trovare una soluzione da come i suoi grandi occhi correvano a destra e sinistra.

Ma come avrebbe potuto? Era stata portata chissà dove, era ferita e… quella le sembrava davvero la fine.

Mitsuri aprì di nuovo la bocca per scusarsi, ma lo sconosciuto la bloccò ancor prima che lei potesse pronunciare qualsiasi altra parola.

«Non ti lascerò morire,» la rassicurò con una tale sicurezza che per un momento, Mitsuri, arrivò quasi a crederci.

La prese in braccio con estrema facilità. Il movimento le strappò un lamento e una forte nausea la portò quasi a vomitare quando iniziarono a muoversi.

Erano veloci. Troppo veloci.

Lo sconosciuto aveva lasciato il mattatoio e l’aria fresca e pulita sembrò quasi mitigare la nausea di Mitsuri, ma un altro movimento fin troppo repentino la portò a tossire con forza e a vomitare. Lo sconosciuto sembrò reagire all’istante, permettendole di vomitare bile e sangue sulla terra fredda che fino a qualche momento prima avevano percorso correndo.

«Respira. Cerca di respirare,» mormorò lo sconosciuto.

Mitsuri singhiozzò e altre lacrime le riempirono gli occhi. Era difficile respirare. Ogni movimento le faceva male e la nauseava… e i suoi pensieri avevano smesso di essere coerenti a causa delle ondate di dolore e di insensibilità che attraversavano il suo corpo. 

«Come ti chiami?» la domanda la colse impreparata e ci mise qualche momento prima di riuscire a rispondere.

«K-Kanroji Mitsuri…»

Lo sconosciuto emise un vago uhm d’approvazione. Sembrava calmo o, quando meno, stava cercando di dare quell’impressione.

«Il mio nome è Kyojuro, ed ora devi ascoltarmi…» iniziò lo sconosciuto. «Temo che i danni siano troppo gravi e nemmeno un medico potrebbe riuscire ad aiutarti…»

Mitsuri tremò e una nuova ondata di bile le salì in gola.

Non voleva morire, non ancora, pensò e si rese conto di aver pronunciato quelle disperate parole solo quando Kyojuro le rispose con un tenero: «Non morirai Mitsuri.»

All’improvviso, il gelo che l’aveva avvolta divenne un tepore quasi piacevole e davanti ai suoi occhi si formò l’immagine di quella che sembrava una kitsune. Nove code ondeggiavano intorno a Kyojuro e delle orecchie di fiamma vibravano sopra il suo capo.

Era tanto bello quanto terrificante sotto un certo punto di vista.

Mitsuri lo osservò senza sapere cosa pensare realmente, si sentiva troppo debole e forse stava addirittura delirando.

«Lui non ti farà morire,» continuò Kyojuro. «Ma tu devi combattere, mi hai capito? Sei forte, Mitsuri. Aggrappati a quel desiderio di vita e combatti,» la incoraggiò portandosi la mano alla bocca.

La azzannò senza battere ciglio e poi la avvicinò alla bocca di Mitsuri. Non ebbe modo di reagire né di comprendere cosa stesse accadendo, ma sentì chiaramente un qualcosa di amaro e di liquido inondarle la bocca.

Istintivamente tentò di allontanarsi e di sputare quel liquido che non sapeva neanche di sangue, ma alla fine si ritrovò a deglutire pur di non soffocare.

Si sentì quasi bruciare dentro. Violenti brividi iniziarono a scuoterla e per quanto desiderasse gridare con tutto il fiato che aveva in corpo, Mitsuri sentiva ancora la bocca piena di sangue e la testa schiacciata dall’incessante e rapido battere del suo cuore.

«Riesci a sopportare il sangue che ti sto offrendo?» una voce fredda si insinuò nella testa di Mitsuri e le sembrò quasi di sentire anche l’altro braccio venire strappato via, così come le gambe e il busto. Si sentiva dilaniata e il dolore era tale da portarla quasi a desiderare di morire.

Eppure con quel desiderio di morte sopraggiunse qualcos’altro. Una scintilla diversa che le fece contorcere l’animo.

Non avrebbe più rivisto i suoi genitori e i suoi fratelli.

Non voleva morire in quel modo.

Ma non sapeva come combatterlo, non sapeva come superare quel dolore.

«Sei forte, Mitsuri. Aggrappati a quel desiderio di vita e combatti,» la voce dello sconosciuto si insinuò nella sua mente.

Credeva in lei. Le aveva detto di combattere, che non sarebbe morta… e Mitsuri sapeva di doverlo fare.

Per se stessa e per la sua famiglia.

E con quei pensieri, Mitsuri si lasciò avvolgere da quel buio quasi rassicurante che la cullò in un sonno privo di sogni mentre il dolore, lentamente, iniziava a diventare solo un lontano ricordo.


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