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[personal profile] kurecchi
 

Fandom: Bungou Stray Dogs

Personaggi: Oda Sakunosuke, Dazai Osamu, Altri

Rating: SAFE

Warning: Alternative Universe - Canon Divergence, Panic attacks, Main Characters Injury, Slow Recovery, Slow Burn Relationship, Hurt/Comfort, Mentions of suicidal intentions

Parole: 1910/???

Note:

  1. #saveOdaSaku2k20 questo è importante

  2. Non so se i personaggi siano IC o meno, scrivo con questo dubbio. Ciò che so con certezza è che l’attacco di panico che ho descritto è un evento di vita vissuta (?!).

  3. Capitolo ispirato al significato della carta dei tarocchi “La Morte”, o “L’Arcano senza Nome” -> “La carta simboleggia la fine di qualcosa, il verificarsi di un evento che può gettare nella disperazione, ma che è comunque un passaggio obbligato, anche se difficile”




I. Perché


Era sveglio da tempo ormai, ma non si era mosso di un solo centimetro. Immobile, aveva mantenuto lo sguardo fisso sul soffitto bianco, sul quale camminavano lente le ombre delle imposte sfiorate dal sole.

Alle sue orecchie giungevano vari rumori, come un confuso vociare fuori dalla stanza e dei passi talvolta concitati e altre volte più calmi. Poi vi era anche un placido segnale acustico regolare, ben più vicino e chiaro in confronto al brusio di voci, e che solo di tanto in tanto sembrava diventare discontinuo, senza un apparente ritmo o senso logico.

Non aveva bisogno di muoversi o di guardarsi attorno per sapere di trovarsi in un ospedale, e non era neanche necessario rendersi conto della fastidiosa maschera d'ossigeno sul suo viso per averne la certezza.

Era vivo, e l'unico quesito che riusciva a porsi era un debole: "Perché?" 

Non gli importava sapere come fosse sopravvissuto, né da quanto tempo si trovasse in quella stanza. Gli sembravano informazioni superflue, che non gli avrebbero dato alcuna spiegazione sul motivo del suo risveglio in quella camera.

Perché aveva sentito la pallottola colpirlo e aveva avvertito chiaramente il dolore farsi dapprima più acuto e poi pian piano sempre più lontano, come se non gli appartenesse più.

Sollievo e rimpianto si erano mischiati in quegli ultimi istanti perché stava morendo ed era quello ciò che Oda Sakunosuke aveva desiderato quando aveva scelto di accettare lo scontro con Gide André. Lo aveva raggiunto sapendo che quella sarebbe stata la sua fine.

La vendetta era stata sicuramente uno dei sentimenti che lo avevano spinto a compiere quel passo, ma alla fine a convincerlo per davvero era stato il dolore della perdita.

Il Freedom, il suo diritto di diventare uno scrittore e, soprattutto, i suoi bambini. Aveva cercato di essere un uomo buono anche in un ambiente tossico come quello della Port Mafia, aveva provato a seguire il suo sogno forse impossibile e ad assicurare un futuro a quegli orfanelli, ma tutto era finito.

La morte per lui aveva preso il sapore di un lieto fine agrodolce, e se sapeva che la sua anima non avrebbe mai raggiunto quella dei suoi bambini. Era troppo sporco per poterli riabbracciare, qualsiasi cosa ci fosse dopo la morte.

Perché, quindi, era ancora vivo?

Il gelo sembrò quasi impossessarsi delle sue membra. Un inusuale freddo gli si riversò in gola, fino alla bocca dello stomaco. Si sentí scosso da un brivido involontario e le sue labbra secche si storsero in una smorfia.

Incontrollato, il suo cuore iniziò a battere talmente veloce da fargli male, mozzandogli il respiro. Si mosse per la prima volta solo in quel momento, portando quasi a fatica una mano sul petto per poter stringere tra le dita gelide il fine cotone degli indumenti che indossava. Come se quel gesto potesse servire a placare o a trattenere il suo cuore che, furioso e turbato, sembrava quasi volersi far strada tra le sue carni.

Un fischio proruppe nelle sue orecchie, rendendolo quasi sordo a tutto quello che lo circondava, in una reminiscenza del tutto simile a quella che poteva provare dinanzi a qualche esplosione. Conosceva bene quella sensazione, dalla parziale sordità fino all'odore di bruciato, quell'acre fumo che graffiante rendeva difficile respirare e inaridiva la gola.

"Qualcuno gridava", ricordò, aprendo la bocca per cercare di prendere una boccata d'aria, come se l'ossigeno che gli veniva somministrato attraverso la mascherina non fosse abbastanza. Anzi, la stessa mascherina sembrava quasi soffocarlo.

"Io stavo gridando". 

Annaspò, muto e soffocato dal panico che stava prendendo possesso del suo corpo e che lo portò a chiedersi ancora una volta: "Perché? Perché sono vivo? Perché io e non loro?".

«Odasaku

Spostò lo sguardo a fatica sulla sua destra, scoprendo solo in quel momento di avere la vista appannata. Per quel motivo non riuscì a vedere con chiarezza il viso della persona che lo aveva appena chiamato con un tono preoccupato e spaventato, ma poteva benissimo immaginare chi fosse perché quella voce gli era familiare.

Sbatté gli occhi tentando di mettere a fuoco il viso di Dazai Osamu, provando al tempo stesso di calmarsi, di placare quel panico che gli stava impedendo di respirare.

Sentì dei movimenti concitati accanto a sé e una nuova figura sfocata apparve nel suo spazio visivo.

«Oda-san, sono il dottor Tachibana».

Registrò solo distrattamente quelle parole, trovando però un pizzico di sollievo quando la mascherina dell'ossigeno gli venne sfilata via, privandolo di quella strana sensazione di oppressione.

«Cerchi di respirare con me», riprese la voce di poco prima, comprensiva ma al tempo stesso decisa, «siamo qui per aiutarla, quindi cerchi di respirare», ripeté l'uomo scandendo ogni singola parola, mentre il materasso del letto veniva spostato per metterlo in una posizione seduta.

Sakunosuke trovò quasi complicato riuscire a seguire quel semplice ordine - respirare era difficile -, ma lentamente fu in grado di regolarizzare il suo respiro e a vedere anche più chiaramente ciò che lo circondava e i volti delle due persone presenti con lui nella stanza. Il medico si era seduto accanto a lui, sul materasso, e continuava a respirare lentamente con un ritmo regolare e marcato, mentre Dazai si era spostato di lato, con in viso un'espressione indecifrabile.

«Presti attenzione su di me, Oda-san», lo richiamò il dottore dopo qualche momento, «continui così, prima con il naso e poi con la bocca», proseguì, invitandolo a continuare a mantenere quel ritmo di respirazione.

Oda assentì distrattamente, trovando pian piano una sorta di equilibrio. Smise di tremare e il battito del suo cuore, pur rimanendo accelerato, parve placarsi un poco.

«Riesce a dirmi il suo nome e quando è nato?», chiese il dottore con calma. Sakunosuke dovette schiarirsi la voce prima di riuscire effettivamente a rispondere, non senza difficoltà.

«Oda Sakunosuke... sono nato il... 26 Ottobre», mormorò, mantenendo però un tono di voce basso.

Il medico assentì con comprensione.

«Sa dove si trova e che giorno è oggi?»

Oda fu costretto a scuotere il capo, ammettendo di non conoscere assolutamente né il luogo né la data. Aveva ipotizzato di trovarsi in un ospedale, ma non era neanche certo di trovarsi ancora a Yokohama.

«Ci troviamo all’interno di una struttura ospedaliera del governo», spiegò il dottor Tachibana, e gli occhi di Sakunosuke corsero subito verso Dazai nel sentire nominare il governo.

Era confuso e quel gelo che lo aveva attanagliato fino a qualche attimo prima sembrava pronto a germirlo di nuovo, con violenza e crudeltà.

Perché era vivo e si trovava in quella struttura? Che cosa aveva fatto Dazai?

Era l’unico presente in quella sala da ballo che sarebbe dovuta diventare la sua tomba, l’unico che aveva assistito a quelli che sarebbero dovuti essere i suoi ultimi istanti di vita. Lo ricordava alla perfezione, e se chiudeva gli occhi poteva ancora vedere lo sguardo terrorizzato e atterrito di Dazai.

Quello che era successo non era un’illusione o un vaneggio della sua mente, ne era certo, ciò che continuava a non comprendere e ad alimentare quel cieco terrore nel suo petto, era ancora una volta quell’unica domanda: perché?

Non gli importava realmente come ci fosse riuscito, voleva sapere solamente per quale motivo Dazai lo aveva salvato? Perché lo aveva privato della morte?

Proprio lui, che era solito blaterare sui suicidi, incapace di dimostrare di saper dare anche solo un minuscolo peso di importanza alla vita.

Perché aveva reputato l’esistenza di Oda tanto importante da dover essere preservata?

Perché non gli aveva concesso quell’unico desiderio?

«Perché?», domandò piano, tenendo gli occhi fissi su Dazai che, forse per la prima volta da quando lo conosceva, sembrò assumere un’espressione colpevole.

«La richiesta ci è arrivata dai cosiddetti piani alti. Non deve preoccuparti, qui si trova al sicuro e sarà sotto la nostra protezione fino alla dimissione», rispose il medico, interpretando a modo suo quel quesito.

Oda però continuò a fissare Dazai, stringendo le labbra e i pugni fino a farsi male. Il dolore era reale, vero come quello che aveva provato nel perdere la sua famiglia e tutto ciò in cui credeva.

«Perché?», ripeté ancora con un sibilo duro e roco. Lo stesso panico che gli aveva mozzato il fiato poco prima si stava riversando nei suoi occhi, pizzicandoli con rabbia e pensieri crudeli. Alle sue orecchie arrivava rapido e irregolare il suono acustico di una macchina che sembrava andare allo stesso ritmo sconnesso del suo cuore.

«Odasaku…»

Avrebbe voluto gridare, insultarlo e dargli dell’egoista, ma le sue labbra rimasero strette in una linea dura e dolorosa.

«Dazai-san», riprese il dottor Tachibana, «credo sia meglio lasciare riposare Oda-san, se vuole precedermi all’esterno della stanza la raggiungerò appena possibile», disse con calma e gentilezza,  probabilmente individuando nell’altro una fonte di stress o di disagio per Sakunosuke. E Oda gliene fu stranamente grato.

Dazai apparve ferito nel sentire quelle parole, ma non disse niente né si ribellò all’invito del medico. Si limitò ad annuire e a lanciare un’ultima, triste e colpevole occhiata a Sakunosuke prima di lasciare la stanza.

«Comprendo la sua confusione, Oda-san, e se c’è qualcosa che la turba, la invito a farla presente».

Oda rimase in silenzio per qualche attimo, cercando di riprendere a respirare come gli aveva mostrato il medico poco prima - non si era neanche reso conto di avere di nuovo il fiatone e quell’agitazione soffocante.

Si umettò le labbra, o almeno cercò di farlo. Non aveva saliva sulla lingua e la bocca gli sembrava secca e impastata. Prese un altro respiro che giunse rumoroso e tremulo alle sue orecchie.

«… come?», riuscì solamente a dire senza però troppo interesse. Le rispose che voleva erano ben altre.

«Certo. Ci è arrivata una segnalazione di emergenza da parte di un agente. Siete stato prelevato dal luogo dell’incidente e sottoposto ad una lunga operazione, che ha richiesto l’intervento di alcuni dei nostri Ability User della divisione medica. Per prevenzione siete stato tenuto in coma farmacologico per qualche giorno, e stamattina abbiamo ridotto la dose per permettere il suo risveglio».

Era stata una spiegazione veloce, senza troppi giri di parole, utile per Oda per cercare di mettere i primi punti di quella vicenda.

Assentì, chiudendosi ancora nel silenzio, che venne rotto qualche attimo dopo di nuovo dal Dottor Tachibana.

«La invito a riposarsi per il momento», gli disse con tono calmo ma amichevole, forse nel tentativo di infondergli sicurezza e familiarità, «per qualsiasi problema, dubbio o necessità di vario tipo. Alla sua sinistra troverà il telecomando per i controlli del letto e un campanello. Lo può utilizzare liberamente. In ogni caso, manderò qui un’infermiera a controllare i suoi parametri e a portarle dell’acqua, sono certo che ne avrà bisogno».

Sakunosuke lo ascoltò senza aggiungere niente, limitandosi ad annuire con un leggero cenno del capo e a fissarlo infine mentre abbandonava la stanza, lasciandolo solo.

Chiuse gli occhi per qualche istante, pizzicavano. Si sentiva improvvisamente stanco e privo di forze, svuotato da ogni velleità e pensiero, e solo dopo qualche minuto si voltò lento verso la sua sinistra, alla ricerca del telecomando per poter assumere di nuovo una posizione prona.
Tuttavia non fu il telecomando ad attirare il suo sguardo e a fargli sentire un nuovo peso nel petto. Un dolore del tutto diverso da quello che aveva provato fino a quel momento.

Sul comodino vi era un libro dalla copertina un po’ lisa per le troppe letture. Una copertina che Sakunosuke avrebbe riconosciuto tra mille, così come le parole scritte nere su bianco all’interno di quelle pagine. Le conosceva a memoria.

Kokoro.

Silenzioso, come se quel libro fosse la chiave della sua esistenza, Oda iniziò a piangere senza neanche rendersene conto.


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