Feb. 15th, 2020

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Fandom: Ensamble stars
Personaggi: Shu Itsuki, Mika Kagehira (nominato ma non "nominato" LOL: Kuro Kiryuu)
Parole: 660
Prompt: Fandom!AU [Harry Potter!AU]



Quando Shu Itsuki si presentò ad Hogwarts, insieme alla delegazione di Beauxbatos per il Torneo Tre Maghi, la prima cosa che pensò fu un disgustato: "Questi inglesi non sanno vestire".

 

Se c'era una qualcosa che gli aveva fatto letteralmente amare il suo istituto era la cura che avevano messo nelle divise. La fondatrice di Beauxbatons aveva scelto stoffe ricche e morbide, auto-stiranti e auto-smacchianti, che si adattavano alla perfezione alle forme dei loro corpi.

Tutto l'esatto contrario di quelle di Hogwarts, che con quelle loro tuniche, sembravano ai suoi occhi più dei sacchi che degli adolescenti in lizza per essere i Campioni del Torneo.

Si lisciò le pieghe della camicia, camminando tra gli studenti di Hogwarts con a testa alta e quel suo solito atteggiamento di superiorità che, più volte, aveva allontanato chi cercava di avvicinarsi a lui. Solo pochi avevano infatti il coraggio di associarsi a lui, e per quanto Shu continuasse a sostenere di stare meglio da solo, doveva ammettere di essere un po' felice di poter contare tra i suoi strettissimi contatti scolastici Mika Kagehira - uno dei pochi studenti dalle origini giapponesi dell'istituto.

Era un bel ragazzo, forte un po' goffo, ma era come una pietra grezza che Shu sentiva di poter plasmare e trasformare nel più prezioso dei gioielli. In fondo, tutti erano attratti da quei suoi strani occhi dotati di eterocromia, doveva solo imparare a valorizzarli.

Un boato ammirato, tuttavia, lo distrasse dai suoi pensieri e si costrinse ad osservare la riva del lago non distante dal luogo nel quale era atterrata la carrozza di Beauxbatons. Una nave era apparsa, grande e imponente, segnando l'arrivo della delegazione di Durmstrang.

Non aveva grande simpatia per gli studenti di quell'istituto. Durante una sua vacanza in uno dei villaggi magici non distanti da quella scuola aveva avuto modo di scorgere più volte alcuni studenti e, per curiosità, aveva anche fatto delle ricerche riguardanti gli usi e costumi di quella zona del mondo magico. E se solo avesse potuto avrebbe reso illegale il loro modo di vestire, con pelli di animali magici e quel rosso che a tratti sembrava essere un pugno in un occhio.

Sfortunatamente non era ancora in suo potere, ma quando un giorno sarebbe diventato Ministro della Magia Francese, avrebbe fatto in modo di far arrivare le sue idee innovative in tutti gli angoli del mondo magico.

Sospirò e si rivolse a Mika, che si era fermato a sua volta per osservare i primi studenti lasciare l'imbarcazione dopo aver gettato gli ormeggi.

«Andiamo, non voglio mischiarmi con quelle bestie e la temperatura qui non da bene alle mie mani», spiegò con tono stanco, sfregando le mani guantate l'una contro l'altra. Li faceva davvero troppo freddo per i suoi gusti.

«Uh! S-sì! Certo!», esclamò Mika rivolgendogli un sorriso.

Shu fece un cenno con il capo, voltandosi poi un poco per poter lanciare un'ultima occhiata agli studenti di Durmstrang... sfortunatamente per lui quella che doveva essere "l'ultima" si rivelò essere fin troppo lunga. Perché il suo sguardo si incantò sul corpo atletico di un giovane.

Vestiva con la classica divisa dell'Istituto di Durmstrang che fasciava il petto ampio e forte come una seconda pelle e sulla spalla cadeva un mantello scuro, all'apparenza morbido. Aveva in viso un espressione seria, palesemente asiatica, e dei capelli rosso fuoco rendevano tutta la sua figura piacevole e non un pugno in un occhio.

Shu avrebbe potuto elencare e catalogare con precisione e sicurezza ogni singola stoffa indossata da quel ragazzo, avrebbe potuto spiegare con superiorità il perché quella divisa era orribile... ma non sarebbe riuscito a dire sul motivo di quella sua improvvisa esitazione e interesse.

«Oshi-san?»

La voce di Mika lo fece sobbalzare e, riportato alla realtà, si voltò verso di nuovo verso il compagno, sperando che questo non notasse le sue orecchie improvvisamente più rosse.

«Sì. Andiamo», mormorò, sforzandosi di non guardare più quel ragazzo.

Era quello ciò che le ragazzine chiamavano 'colpo di fulmine'? Sperava vivamente di no.

 

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Fandom: Pacific Rim
Parole: 540
Personaggi: Chuck Hansen
Prompt: Meta-fic
Warning: Accenni incest
 

Chuck Hansen non era nuovo al concetto di 'fanfictions'. Era stato un adolescente anche lui e aveva navigato su siti spesso di dubbio gusto pur di sfuggire alla realtà fatta di Kaiju e Jaeger, e visto che ormai era diventato un personaggio pressoché pubblico, sapeva che da qualche parte in quel mondo esistevano delle persone - per lo più ragazzine - che amavano scrivere su di lui e sulle sue gesta.

Non gli dava poi così fastidio, anzi, lo trovava in un certo qual modo anche divertente. D'altro canto era il loro eroe, che si adoperava per proteggere il mondo dai Kaiju. Come potevano non adorarlo e fantasticare su di lui?

Certo, non negava che alcune fanfictions fossero 'troppo spinte', ma non sarebbe stato lui a dire loro si smettere... anche perché quello avrebbe portato ad un ovvia conclusione: ammettere che gli piaceva leggere quelle cose. E quella era una cosa che desiderava evitare più di ogni altra cosa.

Un'altra cosa che sperava di omettere era anche il 'tipo' di fanfiction che aveva iniziato a leggere e che lo costringevano puntualmente a cancellare la sua cronologia.

Aveva già ammesso di sentirsi a disagio per alcune storie un po' così dette 'NSFW' che lo vedevano protagonista con qualche ragazza - aveva imparato che quelle si chiamavano 'self-insertion' - ma sfortunatamente per lui non provava gli stessi sentimenti di imbarazzo quando si ritrovava a leggere delle Hansencest. Inizialmente, quando aveva letto per la prima volta quel termine, aveva pensato a qualche stupidata sul rapporto padre e figlio che doveva condividere con suo padre. Ragazzine che si immaginavano chissà quale legame idilliaco di affetto e altre stronzate varie.

In realtà aveva imparato a sue spese che non era proprio quel tipo di rapporto che quelle fans si immaginavano tra lui e suo padre e che il 'cest' non era altro che l'abbreviazione di 'incest'.

 

Si era sentito nauseato nello scoprire che quelle ragazzine si immaginavano un rapporto di natura sessuale tra lui e il suo vecchio, e a disagio aveva chiuso il sito nel quale era solito navigare alla ricerca di qualcosa da leggere per passare il tempo... ma alla fine vi era tornato, e non ne era più uscito.

C'era un qualcosa di oscenamente peccaminoso ed eccitante in tutto quello, ed alcune storie erano scritte fottutamente meglio. Molto più curate di quelle con qualche ragazza casuale.

E la cosa, per modo di dire, più divertente era che molte di quelle fanfictions erano anche in grado di ricalcare alla perfezione i loro caratteri: con scambi di battute che Chuck avrebbe sicuramente fatto con suo padre.

Inoltre, cosa non meno importante, parlavano in un modo molto intimo del drift e del legame che si veniva a creare in quella stretta di mano neurale... e Chuck non sapeva che una cosa così normale, e alle volte fastidiosa, potesse apparire sensuale ed eccitante.

Quelle ragazze avevano talento e lui, sfortunatamente, aveva dovuto ammettere di avere un 'daddy complex' grande come uno jaeger e che sperava di non mostrare mai nel drift a suo padre.

C'erano cose che, per quanto gli piacessero, era meglio rimanessero rilegate in quella finzione di parole nere sul bianco di quale sito di fanfictions e nelle menti più fantasione delle sue fans.

 

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 Fandom: Game of Thrones
Personaggi: Sansa Stark, Sandor Clegane, Arya Stark
Prompt: Fandom!AU [Harry Potter!AU]
Parole: 1200
Warning: possibile OOC?! Non Betata?!


Sansa Stark proveniva da una famiglia di purosangue molto antica nel mondo magico. I suoi antenati avevano ricoperto ruoli importanti negli eventi del mondo magico e lei stessa sognava di poter, un giorno, portare onore e lustro alla sua famiglia.

Non era una Duellante Magica provetta, era discretamente brava in Trasfigurazione e anche in Pozioni, ma sapeva di essere soprattutto intelligente e bella: avrebbe sicuramente trovato il suo posto in quel mondo accanto, magari, al futuro Ministro della Magia.

Erano sempre stati quelli i suoi sogni e obiettivi sin da bambina, ma suo malgrado si ritrovò a doverli riconsiderare quando nella sua vita entrò il guardiacaccia di Hogwarts.

Sandor Clegane era un uomo rude e rozzo, con un'orribile cicatrice sul viso e con un caratteraccio che spingeva tutti gli studenti ben lontani dalla sua abitazione al confine della Foresta Proibita. Sansa, ovviamente, avrebbe volentieri fatto a meno di avere a che fare con lui... ma Sansa aveva anche una sorella minore, Arya, che era tutto tranne che una studentessa modello e che aveva fatto dell'infrangere le regole la sua missione di vita.

Poteva ignorarla, fare finta che quella fosse una Stark di un'altra famiglia, ma era pur sempre sua sorella e quando sentì che era andata alla ricerca degli unicorni nella Foresta Proibita, Sansa pensò a mille e più cose.

Dalla meno grave come l'avvisare i professori e farla mettere in punizione a vita a quella più tragica: il ritrovarla morta a causa dei pericoli della foresta.

 

Fu proprio quel terribile pensiero a spingerla a correre fuori dal dormitorio di Grifondoro, con il suo pigiama addosso, per affrontare il coprifuoco e andare a bussare alla porta dell'unica persona che poteva salvare la sua sorellina: proprio Sandor Clegane.

In sette anni lo aveva evitato, lo aveva guardato da lontano senza osare avvicinarsi troppo a lui, ma in quel momento non poteva farne a meno. Sperava solamente che l'uomo fosse di buon umore e che non la ritenesse una seccatura come tutti gli altri studenti. In fondo, si disse speranzosa, Sansa pur avendolo ignorato era sempre stata gentile ed educata non poteva detestarla come tutti gli altri perché lei non era tutti gli altri.

Bussò con forza e insistenza, facendo un balzo indietro, quando l'uomo aprì la porta con un'espressione seccata che gli sfigurava il viso.

«Che vuoi?», gli abbaiò contro, irritato.

Sansa cacciò via l'istinto di fuggire, e ne sostenne lo sguardo coraggiosamente. Era pur sempre una Grifondoro, e la temerarietà era uno dei loro pregi - o difetti vista la stupidità di Arya.

«Mia sorella», si affrettò a dire, «i suoi compagni mi hanno detto che si è addentrata nella Foresta Proibita e-»

«E a me che cosa me ne frega?», ribatté l'uomo, duro, interrompendola nella sua spiegazione.

«Aiutami a cercarla!», esclamò lei, tagliando corto.

Sandor rimase in silenzio, inarcando le sopracciglia un po' per lo stupore.

«Perché dovrei aiutarti? Chiama uno dei tuoi professori, uccelletto», rispose, facendo per chiudere la porta, ma Sansa si oppose, aggrappandosi all'uscio con tutta la forza che aveva.

«No! Loro sarebbero troppo lenti e non la troverebbero! Potrebbe morire! E tu... tu conosci la Foresta Proibita meglio di chiunque altro!»

Sandor strattonò la porta, facendola quasi ricadere per terra.

«Sei una seccatura, uccelletto», sbottò, chiudendosi di nuovo dentro la capanna, lasciando la ragazza con gli occhi che le pizzicavano per l'irritazione e la preoccupazione.

Strinse i pugni, sentendosi tentata dall'afferrare la sua bacchetta e lanciare un Bombarda per buttare giù quella porta e tirare fuori con la forza il guardiacaccia, ma ancor prima di poter realmente mettere in modo quel piano folle, l'uomo apparve di nuovo sull'uscio con il mantello sulle spalle e un'altro che le porse con un gesto rude ma che Sansa registrò, in qualche modo, come gentile.

«Mettitelo, sei troppo leggera. Non voglio riportare indietro due ragazzine congelate», borbottò.

Sansa lo prese con non poco stupore e si affrettò a seguirlo quando lo vide allontanarsi verso l'ingresso della foresta. Indossò il mantello rapidamente, trovandolo caldo e piacevole, ma scacciò quei pensieri per quell'inaspettata gentilezza per potersi concentrare sul ritrovamento di Arya.

Camminarono insieme in silenzio, con Sandor che controllava ogni possibile traccia e le intimava con lo sguardo di non emettere rumori troppo alti - lo sapeva anche lei, c'erano esseri e creature che non andavano disturbate in quel luogo.

La ricerca, fortunatamente, non durò a lungo perché trovarono Arya dopo solo mezz'ora di marcia, addormentata ai piedi di un albero con il mantello scolastico usato come coperta.

Fu Sandor a sollevarla di peso ma con una cura e attenzione che non sfuggì agli occhi preoccupati e più tranquilli di Sansa.

Arya si svegliò quasi subito, ma forse per la stanchezza ed il sicuro raffreddore che si era presa, non parve volersi ribellare. Quello però non le impedì di rivolgere a Sansa un sorrisetto furbo e stanco.

«Allora ti importa di me», dichiarò prima di riaddormentarsi con un'espressione soddisfatta.

Ripeté mentalmente quelle parole più volte, comprendendo solo in quell'esatto momento il vero significato della fuga di Arya... e in parte era anche colpa sua e del continuo ignorarla come se non fosse sua sorella.

Arya era una ragazzina forte e coraggiosa, indipendente, ma era pur sempre la sua sorellina e forse aveva cercato di attirare la sua attenzione in quel modo. Aveva sbagliato,quello era ovvio, ma almeno era finita.

Tornarono indietro fino ad Hogwarts e Sandor, in silenzio, condusse entrambe le ragazze fino all'infermeria dove l'infermiera si sarebbe occupata della Stark più piccola, intimando alla maggiore di tornare nel suo dormitorio perché, come aveva già supposto Sansa, Arya doveva essersi presa il raffreddore a causa di quel freddo.

 

Una volta chiusa la porta alle sue spalle, rimase sorpresa nel vedere Sandor allontanarsi senza dirle niente e togliendosi il mantello lo inseguì per poterglierlo rendere.

«T-ti ringrazio!», esclamò, fermandolo.

 

«Avresti buttato giù la casa se non ti avessi aiutata», sbottò l'uomo, e Sansa non poté non concedersi una piccola risata.

«Sì, lo avrei fatto», ammise, «ma non eri davvero tenuto a farlo... sei stato gentile».

Sandor distolse lo sguardo, piegando il capo come per nascondere la cicatrice. Sansa, che non gli era mai stata così vicina come in quei momenti, dovette riconsiderare ciò che aveva pensato fino a quell'istante.

Quella cicatrice non era poi così orribile, e Sandor non poteva neanche venire definito solo come rude e crudele. Si era dimostrato gentile e di buon cuore, e quel mantello dal buon odore ne era la prova.

Le apparenze ingannavano e Sansa si sentì quasi una stupida per aver sempre e solo guardato con i suoi occhi, incapace di andare oltre ciò che le persone erano solite mostrare - sia per bisogno che per, probabilmente, difesa.

«Ora va a letto, uccelletto», le ordinò l'uomo, riprendendosi il mantello, «e di a tua sorella di non cacciarsi più nei guai».

«Sarà fatto... sempre se uscirà dalla punizione che le verrà inflitta», ribatté con leggerezza.

Quell'avventura le aveva davvero insegnato tante cose, sia su sua sorella che sul guardiacaccia di Hogwarts, ma soprattutto le aveva fatto aprire gli occhi e riconsiderare tutte le sue certezze per quel futuro che sin da bambina l'aveva portata a desiderare di poter basare tutta la sua esistenza solo sulle apparenze.

 

Curiosità

Feb. 15th, 2020 10:34 pm
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 Fandom: Haikyuu/Kuroko no Basket
Personaggi: Kise Ryouta, Bokuto Koutaro
Parole: 800
Prompt: Crossover


Quando Kise vide per prima volta una vera partita di pallavolo si trovava in ritiro con la sua squadra, e nella palestra che avrebbero dovuto dividere con altri istituti si stava tenendo proprio un piccolo incontro tra altri due team.

Aveva ovviamente provato anche quello sport prima di arrivare al basket, e come era accaduto con tutti gli altri: nessuno dei suoi compagni era riuscito a tenergli testa e la noia aveva preso facilmente il sopravvento.

Tuttavia, forse attratto dal rumore delle squadre, non riuscì a non fermarsi per qualche momento rimanendo indietro in confronto ai suoi compagni di squadra.

Osservò con curiosità i vari passaggi, veloci e precisi, ritrovandosi poi a sorridere nel vedere come la squadra fosse in grado di apparirgli ancor più unita dopo aver segnato un punto.

«Ehi tu!»

Davanti a quell'esclamazione improvvisa, Kise non riuscì a non sussultare, ritrovandosi improvvisamente gli sguardi di tutti i presenti in palestra puntati addosso. Era abituato a ricevere certe attenzioni, ma in quel momento non riuscì a non sentirsi vagamente a disagio, soprattutto quando uno dei ragazzi - quello che lo aveva richiamato - percorse la palestra a grandi falcate.

Aveva un sopracciglio inarcato in una palese espressione curiosa, e senza parlare iniziò a girargli attorno come per studiarlo... mettendolo palesemente a disagio.

«Ehm. Scusa?!», esclamò per bloccare quella sorta di indagine.

Il ragazzo si fermò, gli occhi grandi e sorpresi che lo fissavano con emozione ed esaltazione.

«Tu sei quel modello! Kise Ryouta!», dichiarò qualche attimo dopo, e Kise - incapace di trattenersi dal concedersi un sospiro di sollievo - non poté far altro se non annuire.

Per un momento aveva temuto di essere preso a pugni o di essere accusato di spiare gli allenamenti.

«Ma è fantastico!», esclamò ancora il ragazzo, «Devi assolutamente farmi un autografo!»

«Oh, ma certamente!», rispose Kise, permettendosi di sorridere. Sapeva come comportarsi con i suoi fan, quindi non doveva preoccuparsi.

«Io sono Bokuto Koutaro! Terzo anno, e sono l'asso della mia squadra di pallavolo! Non è grandioso! Tu sei qui con la tua di squadra, vero? Siete in ritiro? Alloggiate nel nostro stesso albergo?», lo incalzò, con crescente curiosità e per quanto Kise volesse mantenere un certo distacco - come faceva con tutti i suoi ammiratori, la gentilezza era d'obbligo ma non doveva esagerare -, gli venne quasi spontaneo esaltarsi a sua volta, contagiato da quell'energia.

«Sì! Siamo qui in ritiro! E se sei l'asso devi essere davvero forte, Bokuto-senpai!», rispose.

Bokuto sembrò quasi gonfiare il petto per l'orgoglio.

«Non vorrei vantarmi ma...»

«Lo stai facendo eccome!», esclamò in risposta un altro ragazzo, rimasto fermo nel suo campo.

« Kuroo! Non vedi che sto parlando? Lui è Kise Ryouta!»

«Io vedo che ti piacciono le cose da ragazzine!», ghignò in risposta il ragazzo di nome Kuroo.

«Finiamo il set almeno...», provò un altro a far da pacere, e Bokuto, con un broncio non poté non assentire.

«Okay Akaashi... ma tu resta qui Kise! Ti farò vedere perché sono l'asso!», dichiarò e Ryouta annuì, sinceramente incuriosito da quella situazione.

Quanto poteva essere bravo quell'asso? Lui aveva bloccato tutte le schiacciate dell'asso quando aveva provato la pallavolo e nessuno era riuscito a bloccare le sue... magari, come Aominecchi, esistevano delle persone grandiose anche in altri sport. Anche se, per lui, nessuno poteva eguagliare Aomine.

Tuttavia quello che gli si presentò davanti agli occhi gli sembrò altrettanto fantastico. Gli scambi tra le due squadre si erano fatti ancor più stretti, combattevano per non far cadere la palla per terra.

Punto dopo punto il possesso della palla veniva conteso da entrambi i team e solo alla fine Bokuto riuscì a decretare il termine di quel set con una schiacciata che andò ad infrangersi sulle dita del muro avversario.

Il ragazzo, tronfio d'orgoglio, cercò subito lo sguardo d'approvazione di Kise, seriamente affascinato da quelle ultime azioni.

«Che ti è sembrato?»

«Sei stato fantastico, Bokutocchi!»

«Bokutocchi?», ripeté, «Oddio Akaashi! Kise mi ha dato un soprannome!», esclamò estasiato, afferrando per un braccio un suo compagno che aveva avuto la sfortuna di passargli vicino.

«Ho sentito, Bokuto-san».

«Non è grandioso?»

«Sì, lo è Bokuto-san».

Kise ridacchiò ma ancor prima di aprire di nuovo bocca venne scosso quasi da un brivido che lo costrinse a voltarsi lentamente, fino ad incrociare lo sguardo furente di Kasamatsu poco lontano.

«Io... devo scappare», si affrettò a dire, nervoso.

«Di già?»

«Uhm... sì. Ma ci vedremo presto, Bokutocchi! Alloggiamo tutti qui in fondo!», aggiunse correndo verso il suo capitano, sperando di non incorrere nelle sue ire per essere rimasto indietro - cosa che ovviamente sapeva che sarebbe successa.

«Ci conto, Kise!», gli gridò dietro Bokuto e quella gioia, un po' lo aiuto a superare la paura per i mille giri di corsa e tremila affondi che il suo senpai lo avrebbe sicuramente costretto a fare.

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