A Glaives' Tales #1 [Battlefield]
Mar. 19th, 2020 03:17 pm![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
Fandom: Final Fantasy XV
Personaggi: Original Characters
Rating: SAFE
Parole: 1790
Prompt: The Warrior
Note:
- Questo è quello che succede quando, giocando a FFXV Comrades finisci per chiederti "Ma i miei oc... che passato hanno?!" e quindi ecco a voi una raccolta di racconti sui personaggi che ho creato su Comrades XD
- Il prompt "The Warrior" è inteso al plurale qui, per la situazione di guerra vissuta dagli Angoni *si abbraccia i suoi bambini*
Capitolo 1 - Battlefield [Melia & Leda]
We carry on through the storm
Tired soldiers in this war
Remember what we're fighting for
Meet me on the battlefield
Even on the darkest night
I will be your sword and shield, your camouflage
[Meet me on the battlefield - Svrcina]
L'odore della terra bruciata entrava nelle narici della giovane donna costringendola a proteggersi il viso con l'avambraccio. Sentiva gli occhi pizzicarle per il fumo e per i gas emessi dai rottami di MT e Blindati imperiali ai suoi piedi, ma ostinata continuava a muoversi tra di essi alla ricerca di qualcosa di utile per la squadra di ricerca informatica e tecnica di Insomnia.
Senza però apparenti risultati.
La battaglia si era conclusa da poco con la ritirata delle forze di Niflheim, ma l'atmosfera che si respirava nel campo all'esterno delle mura della capitale di Lucis non era quella di vittoria, ma più che altro di nervosismo. La guerra era lungi dall'essere terminata e l'esito non sembrava voler volgere in favore di Insomnia. L'Impero, infatti, sembrava quasi giocare con loro, alternando attacchi più violenti, mirati a minare le difese della città, ad altri che sembravano solo dei meri diversivi per spostare altrove l’attenzione dei guerrieri che giornalmente si battevano per la capitale.
Era frustrante oltre che sfiancante, ma nonostante il crescente malumore, tra gli Angoni sembrava esserci un tacito accordo: quello di non parlare del futuro di quella guerra. Perché molti di loro, se non tutti, avevano perso ogni cosa prima di giungere a Lucis come rifugiati, e volenti o nolenti Insomnia era diventata la loro nuova casa. Avevano promesso di proteggerla e la sola idea di uscire sconfitti da quel conflitto contro Niflheim creava in tanti una sensazione di vuoto e di umiliazione che non erano disposti a sopportare.
Melia Godric era una di loro. Aveva fatto della difesa di Lucis e della famiglia reale la sua principale ragione di vita perché a Galahd aveva lasciato un pezzo del suo cuore, sepolto tra le macerie della sua modesta dimora. La sua storia non era poi così diversa da tante altre all’interno degli Angoni, e come i suoi compagni si batteva per quella giustizia, mista alla vendetta, che trovava una piccolissima soddisfazione ogni qual volta che riusciva a decapitare un soldato MT o a far saltare in aria un Blindato.
Premette con più decisione l’avambraccio davanti al viso, strizzando gli occhi per scacciare le lacrime causate da quei fastidiosi fumi che la stavano circondando. Si fermò proprio dinanzi alla carcassa di uno dei robot corazzati che, con l’aiuto dei suoi compagni, era stata in grado di abbattere. Diede un calcio ad una delle gambe meccaniche del blindato, ignorando la leggera fitta di dolore che si propagò dal suo piede fino alla sua colonna vertebrale, e rivolse lo sguardo verso l’alto, cercando nella capsula del pilota la figura della sua migliore amica.
«Leda?», esclamò con voce un po’ soffocata dalla manica della sua divisa, «Trovato qualcosa?», aggiunse senza attendere risposta.
L’altra giovane donna, vestita in modo non dissimile dal suo, si sollevò dalla sua posizione accucciata e, scostando i corti capelli scuri dalla fronte con un gesto automatico della mano, si voltò verso di lei. Indossava degli occhiali dalla montatura nera, ed una delle lenti sembrava essere sporca - ma Melia era certa che la sua compagna non se ne fosse minimamente resa conto.
Si conoscevano da quella che ad entrambe sembrava essere una vita, che in numeri poteva essere tradotta come poco più di un decennio. Si erano incontrate a Galahd per la prima volta, interessi comuni le avevano fatte avvicinare e altri allontanare, ed infine era stata proprio quell’assurda guerra e la distruzione delle loro case a farle ritrovare in un legame che, a tratti, sfociava nel fraterno.
«No. Anche questo era pilotato da un MT. Nessun soldato umano da interrogare e la scatola nera di questo blindato è danneggiata», rispose Leda, scendendo con attenzione per raggiungere la sua amica. Aveva un tono vagamente seccato per la scarsità di risultati che avrebbero portato la loro squadra a tornare a Insomnia solo con delle ferite e tanta stanchezza.
Melia stessa sbuffò, incapace di nascondere la sua frustrazione per quella che alle sue orecchie giunse come una nuova sconfitta, l’ennesimo modo dell’Impero di Niflheim per sfiancare i loro animi e i corpi.
«Raggiungiamo gli altri», sospirò Leda, schermandosi a sua volta il viso con il braccio. Aveva le spalle basse in segno di resa e stanchezza e Melia, rispecchiandosi in lei, non poté far altro se non assentire.
Fianco a fianco, attraversarono il campo di battaglia unendosi in quel modo ad altri gruppetti di Angoni che, con passo lento e affranto, si stavano dirigendo come loro verso i mezzi di soccorso giunti fin lì per riportarli al sicuro all’interno delle mura di Insomnia. Non parlarono granché durante quel breve tragitto e lasciarono che fosse il linguaggio dei loro corpi a rendere palese il loro stato d’animo tutt’altro che lieto, da una parte Melia che prendeva a calci qualsiasi cosa si parasse dinanzi ai suoi piedi - dalle semplici pietre agli arti degli MT - e dall’altra Leda con una piccola ma chiara smorfia dipinta in viso. Aveva le sopracciglia leggermente aggrottate e le labbra strette in una fine linea rosea sul viso un po’ sporco dalla battaglia.
Leda, infatti, non era solita esprimere il suo disappunto in modo plateale come la sua amica, sembrava piuttosto una bomba ad orologeria: pronta ad esplodere allo scadere del tempo. Solo i più attenti riuscivano a scorgere un pizzico di quelle emozioni, ma per il resto era raro il poter vedere uno dei suoi scoppi d’ira, perché come più volte aveva confidato alla sua migliore amica: «Preferisco che gli altri non vedano la parte peggiore di me». Una parte che la stessa Melia non aveva ancora conosciuto del tutto.
Una volta giunte al punto di raccolta si scambiarono dei rapidi cenni di saluto con i loro compagni, e dopo aver dato la precedenza ai feriti - che per fortuna non si rivelarono essere tanti né eccessivamente gravi - presero posto sul retro di una delle vetture, concedendosi solo in quell’istante un piccolo sospiro di sollievo.
Anche in quel momento di apparente pace il loro umore era lungi dal poter essere definito migliorato ma, quantomeno, Melia riuscì come al suo solito a trovare una sorta di lato positivo anche in quella situazione tutt'altro che piacevole.
«Almeno siamo vive», dichiarò infatti, aggiungendo poi un: «ed hai gli occhiali sporchi», per consentire alla sua amica di pulire le lenti macchiate. Leda, che non si sentiva ancora pronta a lasciar scivolare via la frustrazione accumulata come se niente fosse, si concesse una breve scrollata di spalle e togliendosi gli occhiali si premuró di pulirli con attenzione.
«La situazione è grave», commentò cupa indossando di nuovo le sue lenti, rivolgendo uno sguardo stanco all’altra che si fece di nuovo seria.
«L’ennesimo attacco imperiale senza dispiego di soldati umani. Le loro forze non vengono intaccate, mentre le nostre…», lasciò in sospeso la frase, certa che Leda avesse ugualmente inteso i suoi pensieri.
«Noi veniamo dimezzati», concluse Luche, intromettendosi senza alcun preavviso nel discorso delle due. Era seduto non lontano da Melia e con quell’affermazione sembrò riscuotere non poche approvazioni negli Angoni li presenti. Erano delle considerazioni che tutti condividevano ma nessuno sembrava volerle realmente argomentare come era solito fare l’uomo, ed il motivo era semplice: non si voleva creare malcontento o intaccare l’umore già precario della squadra.
«Siamo già abbastanza depressi senza che tu apra bocca», borbottò Melia in risposta, con tono abbastanza alto affinché Leda potesse sentirla e concedersi un piccolo sorriso - non era un mistero la leggera antipatia di Melia per Luche.
L’uomo, con un’espressione dura e nervosa, si lanciò ben presto in una lamentela rumorosa ed articolata su quella battaglia e su quanto quella guerra stesse logorando non solo il loro animo ma anche i ranghi degli Angoni. Per fortuna fu Pelna a bloccare l'invettiva del loro compagno, evitando in quel modo la crescita di quella sensazione di rabbia che si mischiava all'impotenza alla fine di ogni battaglia.
«Come ha detto Melia: siamo vivi. Quindi direi di festeggiare andando a mangiare qualcosa insieme», propose Pelna con un sorriso gentile, tipico della sua personalità. Non amava i conflitti ed era quello che il più delle volte faceva da paciere tra le varie teste calde degli Angoni - un lavoro arduo vista la presenza di parecchie personalità forti e indipendenti.
La proposta, per quando allettante, venne rifiutata da quasi tutti gli Angoni li presenti, comprese Melia e Leda. Anche se erano solite frequentare il piccolo gruppetto di Pelna, che si incontrava in uno dei pochi locali che offriva dei piatti di Galahd, in quel momento nessuna delle due aveva effettivamente voglia di passare una serata in compagnia. O meglio: in presenza di persone esterne a quel loro esclusivo circolo familiare.
Infatti, una volta raggiunta Insomnia ed aver fatto rapporto con Drautos, furono le prime a lasciare la Cittadella alla volta degli appartamenti degli Angoni, situati alla periferia della città. Era una zona caratterizzata da profumi forti che portavano traccia di paesi e tradizioni diverse tra loro ma che erano accomunate dallo stesso destino di distruzione e abbandono. Vittime della guerra che in quella periferia avevano cercato di ricreare una sorta di casa.
Melia e Leda si trovavano bene in quel luogo proprio per quella mescolanza di personalità che sembrava creare un'unica voce di uguaglianza: per quanto Lucis fosse una terra straniera per loro e per altre migliaia di persone, era ciò che avevano in comune a renderli simili.
Certo, non sempre la convivenza era piacevole, ma era l'unico luogo che ormai potevano chiamare casa.
Lasciato alle loro spalle il mezzo pubblico, le due giovani donne attraversarono i vari vicoli che le separavano dal loro appartamento, soffermandosi solo in qualche piccolo negozietto ad acquistare qualche dolce e del pane per la cena.
Passo dopo passo, la tensione per la battaglia iniziò ad abbandonarle ed infatti anche il viso di Leda sembrò distendersi in un'espressione più rilassata… cosa che non sfuggì a Melia, che tentó subito di approfittarne.
«È da tanto che non mangio pasta», commentó, «come quella che abbiamo provato al ristorante altissiano per il compleanno di Crowe».
«Mi stai chiedendo di cucinare?», domandò Leda, intuendo al volo la vera richiesta dell'amica.
«Lo so che oggi è il mio turno… ma tu sei più brava e cucini molto meglio di me. Io mi occuperò di lavare i piatti per tutto il fine settimana. Promesso», esclamò Melia accorata, aggiungendo poi un: «lo sai che sono disposta a tutto per la carbonara altissiana… proprio a tutto».
«Facciamo per una settimana. E ti occupi anche di stirare la roba della lavanderia, oltre che andare a ritirarla. E poi dovrai anche portare tu fuori l'immondizia», dichiarò in risposta Leda, strappando un'immediata esclamazione di gioia in Melia… ignara del fatto che la stessa Leda avesse lo stesso desiderio di carbonara altissiana e che avesse semplicemente preso la palla al balzo per scaricare sull'amica alcune faccende domestiche.