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2.Honeyed Words

 


Words: 6340
Prompt: Arisa – Potevi fare di più

Ci sono troppi rancori che ci fanno star male
Mi sono messa in disparte sola col mio dolore
[...]
Ora i nostri percorsi sono pieni di mine
Sto annegando ma tu non mi tendi la mano


 

The first thing Kaeya did as soon as he set foot in Mondstadt, was to stop by the Good Hunter to buy two Fisherman's Toasts for Klee. And while the little girl ate her well-deserved snack, sitting on a bench in the shade, he remained at the counter, leaning on to exchange the usual pleasantries with Sara.


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Fandom: Genshin Impact

Personaggi: Klee, Razor, Diluc (e Kaeya sul finale)

Rating: SFW

Parole: 3455

Note:

  • All’inizio della fic Razor è senza una famiglia ‘umana’ e alla fine, in un certo qual modo, ne trova una XD Quindi è ‘diviso’ all’inizio e ‘unito’ alla fine XD



Quando Klee aveva trovato Razor disteso per terra, circondato dai lupacchiotti uggiolanti, aveva subito capito che qualcosa non andava.

Generalmente non lo trovava mai nella 'sua tana', ma in giro per il Wolvendom a cacciare o a proteggere i confini dalle persone cattive. Di conseguenza, doveva per forza essere successo qualcosa.

Raggiunse il capezzale dell'amico, chiamandolo con voce incerta come per non spaventarlo - o per non far agitare i cuccioli.

«Razor?»

Non ottenne risposta, e sempre più preoccupata si chinò accanto a lui per studiarne il viso.

Stava chiaramente dormendo ma non sembrava tranquillo. Infatti era pallido e sudato, con le sopracciglia aggrottate in un'espressione di dolore, e il respiro debole e affaticato.

Allungò timidamente la mano per toccargli il viso, ritirandola subito quando i lupacchiotti ringhiarono come per avvisarla di non far del male al loro fratellone.

«Voglio aiutare,» pigolò senza riuscire a nascondere la preoccupazione. Non le piaceva per niente quello che stava vedendo e la cosa la stava facendo agitare più di quanto volesse.

I cuccioli sembrarono comprendere le sue intenzioni e si calmarono - Razor le aveva più volte detto che i lupi ormai la consideravano una sorta di 'membro del branco', almeno fino a quando non faceva esplodere qualcosa -, cosa le permise di appoggiare la manina sulla fronte del suo amico.

Era bollente. Calda tanto quanto una delle sue bombe.

Klee non era un'esperta ma in un certo qual modo sapeva cosa stava succedendo perché anche lei una volta era stata tanto male e aveva avuto la febbre. Ricordava di aver sudato tantissimo, sentito freddo e caldo contemporaneamente, e addirittura non riusciva neanche a respirare normalmente.

Era una cosa brutta e quell'esperienza la spinse a concludere che Razor dovesse avere di sicuro la febbre.

Cercò di pensare rapidamente a come comportarsi, e di ricordare quello che era stato fatto a lei.

Era stata messa al caldo sotto una montagna di coperte, ma Razor non aveva altro se non delle lenzuola rovinate dai continui giochi dei lupacchiotti.

Poi, ricordo, avevano messo una pezza bagnata in fronte ed era stata tanto piacevole, quello poteva farlo anche lei!

Scattò in piedi e, rovistando tra le cose del suo amico, prese sia il lenzuolo che una ciotola. Usò il primo per coprire Razor, e tenne stretto il secondo per correre al corso d'acqua più vicino per riempirlo d'acqua, esclamando un: «Farò più in fretta che posso!» diretto ai lupacchiotti.

Riuscì a tornare indietro in pochissimi minuti, con il fiatone e abbastanza acqua per immergere uno dei fazzoletti che aveva nel suo zaino - ne aveva persa parecchia mentre correva per fare in fretta, ma almeno era qualcosa.

Immerse la pezza nella ciotola e la strizzò per eliminare l'acqua in eccedenza, per poi appoggiarla sulla fronte di Razor. Ripeté quel gesto più volte, sperando in qualche risultato che tuttavia non arrivò.

Tra le altre cose, cercó di fare memoria, ricordava che Albedo gege le faceva sempre bere delle cose dal sapore strano e che la facevano stare bene, ma Klee non aveva nulla per aiutare Razor in quel modo... però quel dettaglio le ricordò una cosa che Kaeya gege le aveva detto: «Se ti senti male o sei in pericolo, cerca subito una persona adulta della quale ti fidi.»

Non era lei a stare male, ma Razor ma quello che era giusto per Klee era giusto anche per il suo migliore amico. Però, non c'era nessun adulto lì e tutte le persone che conosceva erano a Mondstadt.

Poteva lasciare lì Razor da solo?

I lupacchiotti lo avrebbero protetto ma Klee era ugualmente preoccupata alla sola idea di abbandonarlo. Anche se, in fin dei conti, non lo stava per davvero lasciando visto che stava andando a cercare aiuto.

Chi però?

Pensò subito ad Albedo gege e a Kaeya gege ma non sapeva dove trovarli, perché il primo era a Dragonspine e lei non aveva l'autorizzazione per andarci - poi era immensa, non poteva sperare di trovarlo subito -, mentre il secondo era fuori in missione con Amber jiejie. Sarebbe stato impossibile trovarli entrambi in poco tempo.

Jean jiejie e 1 stavano lavorando e… restava Barbara jiejie.

Lei era perfetta! Era bravissima e tanto paziente! La curava sempre quando si faceva male e tutti le volevano bene.

Poteva correre alla Chiesa e portarla lì da Razor. Ci avrebbe messo un po' ma era l'unica cosa che poteva fare.

Sostituì il fazzoletto bagnandolo di nuovo e si alzò in piedi con un'espressione serissima in volto.

«Devo andare a cercare aiuto per Razor! Voi... proteggetelo fino al mio ritorno!», esclamò diretta ai lupacchiotti che, uggiolando, si coricarono accanto al loro fratellone come per fargli più caldo.

Klee, rincuorata dalla loro risposta corse fuori dalla tana, cercando di tagliare più strada possibile saltando e utilizzando il gliding per superare gli ostacoli e anche gli Hilichurls, non aveva tempo per loro e doveva fare davvero in fretta.

Con la mente fissa sul suo obiettivo, Klee non poté però fare a meno di lanciare rapide occhiate attorno a sé, con le orecchie ben tese, nella speranza di vedere o sentire le voci di Kaeya gege o di Amber jiejie. Non sapeva in che zona fossero ma sperava che si trovassero lì nei dintorni per poter tornare più velocemente possibile da Razor.

Quando finalmente arrivò sulla strada che l'avrebbe condotta a Springvale e infine a Mondstadt, Klee vide finalmente una figura a lei familiare e in un certo qual modo sembrò quasi che il suo desiderio di incontrare qualcuno di conosciuto e in grado di aiutarla si fosse realizzato.

Non aveva una grande confidenza con Diluc ma era un adulto e, anche se non sorrideva mai, lei si fidava e lo conosceva, ed era decisamente più vicino di Barbara jiejie.

«Master Diluc!» esclamò fiondandoglisi quasi addosso. «Ho bisogno d'aiuto! Razor sta male!» aggiunse tutto d'un fiato, sentendo le energie iniziare a mancarle e le gambe tremare. Aveva corso tantissimo e non aveva davvero più fiato… ma aveva trovato qualcuno per aiutare il suo migliore amico.




La prima cosa che Diluc fece, non appena Klee smise di parlare, fu inginocchiarsi all'altezza della bambina per sorreggerla e guardarla in viso.

Era rimasto spiazzato e sorpreso dall'arrivo improvviso di Klee, ma ancor di più era rimasto colpito dalle sue parole e dall'agitazione della più piccola. Non l'aveva mai frequentata più di tanto - cercava di evitare il più possibile i Cavalieri - ma l'aveva sempre vista come energica e sincera, una piccola bomba pronta ad esplodere da un momento all'altro.

Di conseguenza la sua espressione preoccupata, insieme alla richiesta di aiuto che gli era stata rivolta, lo mise subito in allarme.

Non conosceva Razor di persona, lo aveva visto alcune volte ma non si era mai interessato granché al lui visto che, dalle sue fonti, era sotto l'ala protettiva dei Cavalieri di Favonius. Tuttavia, se Klee era così agitata doveva per forza essergli successo qualcosa e data l'inefficienza dei Cavalieri spettava a lui metterci una pezza.

Prese in braccio la bambina senza dire niente, certo che non fosse più in grado di correre visto che aveva iniziato a barcollare, e mormorò un deciso: «Dove si trova?» prima di iniziare a correre verso la strada che la più piccola, stretta a lui, gli stava indicando.

Erano passati anni dall'ultima volta che si era introdotto nel Wolvendom e non era cambiato granché, ma quella era la prima volta che si addentrava fino alle tane dei lupi. Si sentì sin da subito osservato e quasi minacciato, ma la presenza di Klee sembrava tenere alla larga gli animali.

«Razor è lì!» esclamò la bambina, indicandogli il tronco di un albero cavo. Le permise di scendere per terra e la seguì fino alla tana del ragazzo-lupo.

«Va tutto bene! È un amico!» la sentì dire poco dopo diretta a dei cuccioli di lupo che si erano subito eretti a difesa di Razor, ringhiando e mostrando i denti.

I lupi parvero calmarsi grazie alle parole di Klee, ma rimasero ugualmente in allerta mentre Diluc si avvicinava al ragazzo che, ad una prima occhiata, sembrava febbricitante.

Si chinò accanto a Klee che si era subito prodigata per cambiagli la pezza bagnata che aveva in fronte.

Fece correre lo sguardo a destra e sinistra, notando dei piccoli oggetti personali del ragazzo segno che quella era la sua 'casa' e non solo una 'tana' o 'rifiugio'. I Cavalieri permettevano per davvero che il ragazzo vivesse lì? Da solo? Erano davvero così inefficienti e sconsiderati?

Era anche probabile che Razor avesse rifiutato le offerte ma, gli sembrava ugualmente assurda come situazione.

«Master Diluc... che possiamo fare? Sta tanto male... non so che fare, gli ho messo il fazzoletto bagnato ma non funziona senza le medicine di Albedo gege,» mormorò Klee preoccupata, riportandolo al presente. Lo stava guardando con i suoi grandi occhioni scarlatti, pieni di apprensione e fiducia nei suoi confronti.

«Non può stare qui,» rispose prontamente Diluc, ragionando rapido sulle sue prossime mosse. Di certo non poteva lasciare Razor con la febbre lì all'aperto e senza cure, aveva bisogno di un antipiretico e di un vero letto.

Si guardò attorno ancora una volta, puntando gli occhi sui lupacchiotti, ancora pronti ad attaccare se fosse stato necessario. A quel punto si rivolse a Klee.

«Devo portarlo alla Dawn Winery. Ha bisogno di cure e di medicine,» le spiegò con calma, sperando che il suo tono di voce fosse comprensibile anche dagli animali che, incredibilmente, sembrarono non volerlo sbranare mentre lo sollevava.

Era caldo, notò subito nel tenere Razor stretto a sé, e il respiro debole. Poteva essere stato il freddo della notte precedente misto al temporale, o qualsiasi altra cosa, ma aveva davvero bisogno di cure immediate.

Con quel pensiero si avviò subito fuori dalla tana con Klee al seguito. Gli sguardi dei lupi nascosti li seguirono in quel loro cammino e Diluc diede l'autorizzazione alla bambina di 'far esplodere qualsiasi pericolo si parasse davanti a loro' pur di uscire indenni dal Wolvendom e arrivare alla Dawn Winery, decisamente più vicina di Mondstadt.

Klee prese con gran serietà quel suo compito e lo precedette facendo saltare in aria alcuni Hilichurls che avevano avuto la sfortuna di avvistarli.

Con la strada libera grazie agli attacchi della bambina, riuscirono ad arrivare rapidamente nel terreno della tenuta e Klee lo affiancò di nuovo con in viso un'espressione preoccupata.

«Guarirà, vero?» chiese e Diluc rispose subito affermativamente, senza mostrare dubbi, ma si sentì quasi costretto a cercare altre parole per rassicurare la bambina.

D'altro canto, Klee era stata brava nel cercare di raffreddarlo con quel fazzoletto, ma non era stato abbastanza e la bambina era sembrata pienamente consapevole di quella cosa visto che era corsa alla ricerca di aiuto.

Nella sua innocenza e spensieratezza Klee si era dimostrata davvero attenta e intelligente, doveva dargliene atto.

«Hai... fatto un buon lavoro», aggiunse incerto, senza sapere esattamente come rivolgersi ad una bambina. In ogni caso quelle sue semplici parole sembrarono sortire l'effetto desiderato, infatti Klee sembrò un poco più tranquilla e rassicurata.

In pochi minuti raggiunsero la tenuta e, una volta all'interno della sua abitazione, Diluc ordinò ai suoi domestici di chiamare un medico e dell'acqua fredda per far abbassare la temperatura a Razor.

Adelinde prese subito in mano la situazione e iniziò a indirizzare lei i lavori, mentre il padrone di casa saliva le scale per portare il ragazzo in quella che un tempo era la sua vecchia stanza.

Non la utilizzava da anni ormai, per la precisione da quando era tornato a Mondstadt e aveva occupato la camera che era stata di suo padre. Vi erano troppi ricordi legati a quella stanza, e a quella che comunicava con essa, ma non doveva soffermarsi su quelle cose.

Adagiò Razor sul letto e permise ad Adelinde, che lo aveva seguito con una bacinella d'acqua, di prendersi cura del ragazzo mentre Klee, corsa dalla parte opposta del giaciglio, osservava con attenzione il lavoro della donna.

Tanti pensieri iniziarono ad affollarsi nella testa di Diluc e gli tornó in mente la notte in cui suo padre aveva fatto entrare a casa Kaeya, abbandonato sotto la pioggia.

A quei tempi non sapeva la verità sul conto di Kaeya, ma la situazione non gli sembrava poi così tanti diversa se osservata dal punto di vista di suo padre.

Razor non aveva una casa, era solo. I suoi unici affetti familiari erano i lupi, ma lui non era un lupo. Era un umano e Diluc, come suo padre anni e anni prima, sapeva di avere una sorta di soluzione.





Razor si svegliò più volte in quelle ore ma mai abbastanza a lungo per comprendere dove si trovasse.

Si sentiva debole, e alla fine cadeva di nuovo addormentato senza neanche rendersene conto. 

Solo in quel momento, con un po' più di forze in corpo, iniziò a notare dei netti cambiamenti che gli fecero capire di non essere più nella sua tana.

Era disteso in un posto morbido e caldo, accogliente e piacevole. Era bello, ma al tempo stesso preoccupante perché non sentiva alcun odore e il suo naso gli sembrava quasi tappato, tanto da spingerlo a respirare solamente con la bocca, secca e dolorante.

Non capiva cosa gli fosse accaduto e non poté non agitarsi un poco per quel netto cambiamento, ma la debolezza del suo corpo lo spinse a restare immobile e a spalancare solo gli occhi alla ricerca di qualcosa di familiare.

Incontrò un tetto di legno sopra di sé e quello non fece altro se non spaventarlo di più.

Dove era finito? Cosa gli era successo?

«Ti sei svegliato.»

Una voce sconosciuta ma al tempo stesso familiare lo fece sobbalzare, spingendolo a spostare lo sguardo dal soffitto verso la fonte di quella voce. In quel modo incontrò lo sguardo di Diluc, l'uomo freddo e caldo che viveva non lontano dal Wolvendom.

Aprì la bocca per parlare ma non uscì alcun suono da quanto era secca.

Diluc sembrò comprenderlo e si accostò a Razor senza aggiungere altro.

Il ragazzo seguì confuso con lo sguardo, osservandolo mentre versava dell'acqua in un bicchiere. La sola vista di quel liquido trasparente fece deglutire a vuoto Razor e, senza lamentarsi, accettò l'aiuto di Diluc per bere quell'acqua fresca e ristoratrice che gli donò un vago senso di sollievo alla gola.

«Meglio?» chiese l'uomo, e Razor annuì.

Solo in quel momento, con il busto un po' sollevato, iniziò a rendersi conto del luogo.

Era in una camera umana, disteso su un letto morbido insieme a Klee, che dormiva raggomitolata accanto a lui.

La guardò sorpreso e quello sembrò spingere Diluc a fornirgli altre spiegazioni.

«Klee ti ha trovato febbricitante e mi ha chiesto di aiutarti. E si è rifiutata di lasciarti da solo.»

Razor cercò di fare memoria per dare un senso pratico alle parole dell'uomo. L'ultimo suo ricordo era di tanta debolezza, aveva salvato uno dei cuccioli che era caduto nel lago durante la tempesta e il gelo del Wolvendom era stato tanto forte.

Si era sentito male quindi? Sì, quello era chiaro anche per lui... e Klee, evidentemente, lo aveva salvato insieme a Diluc.

Deglutì ancora per schiarirsi la gola, cercando poi di ricordare quello che Master Lisa gli aveva insegnato. Doveva essere educato, restituire i favori e ringraziare.

«Grazie...» riuscì a dire.

Diluc scrollò le spalle e si sedette su una sedia non lontana dal letto.

«Non hai una casa?» gli chiese senza troppi giri di parole, lasciando Razor perplesso.

«Casa. È dove stanno i lupi» rispose con semplicità, senza capire il perché di quel quesito.

«Intendo una vera casa. Un posto nel quale dormire senza essere al freddo» spiegò Diluc, sembrava nervoso e imbarazzato. Razor talvolta faticava a comprendere del tutto gli umani. Lui aveva una casa. Il Wolvendom e la sua tana erano la sua casa. Però Diluc parlava di dormire senza freddo, e la sua tana era fredda a volte. Per quello dormiva sempre con tutti i lupacchiotti: ci si scaldava a vicenda.

Scosse quindi il capo per rispondere alla domanda dell'uomo.

Diluc sospirò e iniziò a borbottare qualcosa riguardo i Cavalieri che, tuttavia, Razor non riuscì a capire.

«Ti hanno mai proposto di andare ad abitare a Mondstadt?»

Un'altra domanda strana ma Razor cercò ugualmente di rispondervi.

«Sì».

Master Varka gli aveva detto di andare in città, ma Razor aveva rifiutato. La sua casa era il Wolvendom e non si trovava bene tra gli umani e tutte le loro stranezze, cosa che cercò di riferire a Diluc quando questo chiese spiegazioni.

«I lupi sono casa. Non gli umani.»

Diluc rimase in silenzio per qualche momento, quasi combattuto. Razor vedeva chiaramente il conflitto nei suoi occhi, sembrava quasi un lupo incerto su come comportarsi davanti ai capricci dei cuccioli.

«... questa potrà essere la tua camera. Non casa. Capisci la differenza?»

Spiazzato da quella domanda Razor scosse il capo.

«In una camera dormi e basta, quando c'è troppo freddo. Quando piove. Quando fuori è pericoloso,» spiegò Diluc con termini facili che Razor comprese al volo.

«Camera è come tana. Ma sicura», commentò e l'uomo annuì per confermare. «Questa è camera?»

«Sì. La potrai usare quando vuoi. Non ci sono tanti... umani qui. Ed è vicina al Wolvendom,» aggiunse Diluc, cosa che però spinse Razor a rivolgergli una domanda semplice ma necessaria.

«Perché?»

Non capiva quella proposta. Diluc era un estraneo, non avevano legami. Era una cosa sospetta.

«… è la cosa giusta da fare,» commentò l'uomo dopo aver esitato per un breve momento.

Gli occhi di Diluc erano sinceri, quello lo comprendeva anche Razor, non ispirava pericolo né malignità. Sembrava davvero onesto.

«Giusta?»

«Se una persona può aiutarne un'altra, allora è la cosa giusta,» spiegò l'uomo. «Sei libero di accettare o rifiutare, ma sappi che questa casa sarà sempre aperta per te.»

Era strano, ma Razor lo trovava anche stranamente piacevole. Forse era il senso di sicurezza che quel letto gli dava o l'onestà negli occhi di Diluc.

«Wolvendom è casa. Questa è camera?» chiese ancora come per mettere in chiaro la situazione.

«Esattamente.»

Razor ci pensò ancora un po' su, poi assentì. Gli sembrava una cosa sensata, non lo stava costringendo né spingendo a rinunciare alla sua casa e famiglia... ed era una cosa gentile. Inoltre, era in debito con Klee e Diluc per averlo salvato.

Diluc annuì a sua volta, mostrandosi sollevato dalla sua risposta.

«Ora riposa. Sei debole. Dopo ti farò portare qualcosa da mangiare.»

«Carne?»

L'uomo esitò ma accennò un piccolo sorriso.

«E carne sia».





Erano passate due settimane da quando Diluc aveva invitato Razor a casa sua. Era stato un gesto responsabile, dettato dal bisogno di fare la cosa giusta per quel ragazzo-lupo - cosa che i Cavalieri non avevano fatto -, e lentamente si era abituato alla sua silenziosa presenza che, saltuariamente, si faceva viva per passare la notte al riparo.

Tutto lo staff della Dawn Winery sembrava quasi estasiato alla sua presenza che era stata accolta come una sorta di 'ritorno alle origini', soprattutto quando insieme a Razor si presentava anche Klee - che era decisamente più rumorosa del suo amico.

«Mi ricordano Master Diluc e Master Kaeya,» aveva commentato Adelinde mentre parlava con Elzer, e Diluc non aveva potuto far altro se non accettare quel paragone che, anche se non lo avrebbe mai voluto ammettere, gli aveva strappato un sorriso al pensiero di quei tempi spensierati.

Leggerezza tuttavia che se ne andò quasi all'istante quando Kaeya entrò all'Angel's Share con quel suo solito sorriso sornione. Cercò di ignorarlo, ma era pressoché impossibile farlo con l'uomo appoggiato al bancone.

«Un Death After Noon, per cortesia,» ordinò Kaeya con leggerezza e il tono di uno che non aveva ancora finito di parlare, infatti riprese subito la parola: «Ho sentito che ti sei preso un cane, è molto generoso da parte tua Master Diluc».

Non vi era nessuna offesa nella definizione 'cane'. La voce di Kaeya era infatti tranquilla, non canzonatoria, anzi… vi era una nota di serietà che faceva comprendere a Diluc due cose.

Da una parte Kaeya sapeva già tutto - poteva essere stata Klee, non poteva escluderlo - e d'altra era un accorgimento, un modo per evitare quella voce di spargesse del tutto.

Non c'era niente di male nel legame che si era creato tra Diluc e Razor, ma onestamente parlando poteva essere pericoloso per il ragazzo visto il lavoro sotto-copertura di Diluc come Dark Knight Hero.

Ciononostante, quella situazione lo innervosì ugualmente, come del resto tutto quello che ormai riguardava il Capitano di Cavalleria.

Decise infatti di non rispondere a quell'insinuazione - non era il luogo giusto né il momento -, prendendosi però una sorta di piccola vittoria nello sbattergli davanti della Grape Juice e non il vino che aveva ordinato.


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Fandom: Touken Ranbu

Personaggi: Doudanuki Masakuni, Atsushi Toushirou

Rating: SAFE

Parole: 500

Note:

  1. Non so l’età effettiva perché sono spade… quindi con un titolo di 102 caratteri mi appello alla regola del “100+” (?!)

  2. PERÒ PREMETTO CHE SONO ENTRAMBI ULTRA MAGGIORENNI. SONO SPADE



Atsushi Toushirou, da quando era arrivato alla Cittadella, era sempre stato un valente compagno di allenamento per Doudanuki.

Era sempre pieno di energia ed entusiasmo, con voglia di imparare e migliorare. Un atteggiamento talmente contagioso che lo stesso Doudanuki si sentiva era lasciato più volte trascinare da lui.

Era piacevole, e più tempo trascorreva in quel corpo umano, più Doudanuki si rendeva conto di quei piccoli dettagli. Infatti non gli sfuggì minimamente l'espressione cupa di Atsushi, appena rientrato da una missione.

Lì per lì pensò fosse ferito o esausto, ma quando lo ritrovò in palestra con la stessa faccia pensierosa, non poté proprio trattenersi dal chiedergli: «Che cosa ti è successo?»

Non erano affari suoi, ma Atsushi era… parte della sua giornata. Era una sorta di amico, e quella sua reazione era in un certo qual modo umana.

Atsushi lì per lì sembrò non voler rispondere poi, con lo sguardo deciso, lo fronteggió. Vista la differenza di stazza, non era poi così minaccioso, ma Doudanuki non poté non sentirsi a disagio.

«Voglio un bacio», dichiaro Atsushi, spiazzando Doudanuki, impreparato a quella richiesta.

«Cosa?»

Altre domande si affollarono nella sua mente, che vennero messe a tacere dall'altro.

«Un bacio», ripeté infatti con decisione, «fino a ieri non sapevo neanche che cosa fosse ma… l'ho visto e sembra… bello».

Lentamente, parola dopo parola, la spavalderia di Atsushi iniziò sparire, lasciando spazio all'imbarazzo che gli fece colorare il viso di rosso - le reazioni umane erano così strane.

«Io… non so cosa sia», ammise Doudanuki dopo un breve momento di silenzio, cercando di immaginare cosa potesse essere ‘un bacio’, «ma se posso aiutarti…», aggiunse con quella gentilezza che aveva scoperto solo in quelle ultime settimane, insieme a tanti altri sentimenti.

Atsushi sembrò illuminarsi e in un lampo gli saltò quasi addosso.

"Baciare è una sorta di lotta corpo a corpo?", pensò lì per lì Doudanuki, ma prima di poter reagire e magari atterrare il più giovane, la bocca di Atsushi si posò sulla sua.

Rimase immobile. Quello era un bacio?

Sostenne il corpo di Atsushi con le braccia, rilassandosi poco a poco. Non era niente di ché quel bacio, ma il calore della bocca immobile dell’altro contro la sua era piacevole e gli faceva stranamente battere il cuore fortissimo in petto.

Quando Atsushi si allontanò, con il volto ancora rosso, Doudanuki si sentì quasi contrariato ma non lo disse. Era troppo confuso e incerto per poter dare un reale nome a quei sentimenti - tante cose continuavano a sfuggirgli di quel corpo umano.

«Questo... era un bacio?», chiese.

Atsushi annuì imbarazzato, mormorando un: «Credo… di sì. Ti è piaciuto?», carico di speranza.

Doudanuki socchiuse la bocca per rispondere, ma alla fine lasciò che fossero i fatti a parlare per lui - come era solito fare.

Infatti si sporse in avanti, catturando le labbra del più giovane in un altro bacio, uguale a quello che si erano scambiati neanche pochi minuti prima.

Sì. Ora gli era tutto più chiaro: ‘quel bacio’ gli era proprio piaciuto.


Délicat

Feb. 23rd, 2021 11:36 pm
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Fandom: Fire Emblem Awakening

Personaggi: Zelcher, Lon'zu

Rating: SAFE

Parole: 415

Note:

  1. Dai dialoghi in gioco si capisce che Lon’zu ha all’incirca 22 anni mentre Zelcher più o meno 29.


La ferita che Lon'zu aveva riportato in battaglia, per fortuna, non era grave, ma per sicurezza era stato ugualmente sedato mentre Lissa si occupava di lui.

Era stata una misura necessaria, perché per quanto la fobia dell’uomo verso il sesso femminile si fosse ormai attenuata, di tanto in tanto tendeva a riaffiorare anche nei momenti peggiori.

Tra tutte le donne, Zelcher era l'unica con la quale Lon'zu riusciva ad interagire senza alcun problema ed era proprio grazie a lei che, lentamente, stava iniziando ad abituarsi a stare vicino alle altre donne. E Zelcher, nel riguardare a qualche mese prima a quando le loro strade si erano incrociate per la prima volta, non poteva non sentirsi lusingata oltre che emozionata nel vedere tutta la strada che avevano percorso insieme.

Non era stato semplice avvicinarsi a lui, abbattere le barriere che Lon'zu aveva costruito attorno a sé, ma ci era riuscita... pagando un prezzo che in quell'istante, mentre l'uomo dormiva beato dopo le attente cure della Principessa, le sembrava tanto bello quanto impossibile.

Il suo cuore.

I sentimenti per Lon'zu erano nati sin da quando aveva sentito la sua storia anni prima, ed erano cresciuti, battaglia dopo battaglia, alimentati dalle loro brevi chiacchierate.

Lo aveva ammirato come guerriero e come persona, e alla fine aveva trovato un nome a quella calda emozione che le rubava un sorriso ogni volta che si trovava accanto a lui.

Amore.

Amare Lon’zu era semplice e al tempo stesso complicato. Naturale come respirare e difficile come il dimenticare. Non poteva farne a meno e, forse, non voleva neanche tentarci.

«Sai, mi piaci da un bel po' di tempo», sussurrò Zelcher quasi senza rendersene conto, dando voce ai suoi pensieri mentre con la punta delle dita si sporgeva per scostare i capelli dalla fronte rilassata di Lon'zu, «ma forse scapperesti nel saperlo...»

Sorrise malinconica, allontanando la mano dal viso dell'uomo ancora addormentato.

Lon'zu non era ancora pronto per affrontare i sentimenti che Zelcher aveva iniziato a nutrire per lui. Si era abituato alla sua presenza e non sussultava neanche più quando i loro corpi si sfioravano casualmente.

La loro amicizia, a detta dell'uomo, era preziosa e al tempo stesso anche delicata.

Per quel motivo Zelcher voleva proteggerla per il bene di entrambi. Spezzarla sarebbe stato fin troppo semplice e lei si sentiva pronta a proteggere il loro rapporto fino a quando i tempi non sarebbero stati abbastanza maturi per entrambi.


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Fandom: Final Fantasy XV (Pokémon!AU)

Personaggi: Loqi Tummelt, Cor Leonis

Rating: SAFE

Parole: 730

Note:

  1. Collegata a questa fic

  2. Per ricapitolare, Cor è il campione della Lega Pokémon di Galar e Loqi è il un Capopalestra di tipo Elettro… e questo è solo uno dei loro numerosi scontri.

  3. Il duello è fatto male lol sono solo due attacchi in croce ahaha

  4. Hanno una relazione stabile.

  5. Cor ha 45 anni mentre Loqi dicono che sia attorno alla ventina d’anni. Io lo rappresento sempre coetaneo o poco più grande di Noctis e Prompto, quindi per l’occasione ha 21 anni


«Corviknight! Metaltestata, ora!»

Loqi Tummelt strinse forte i denti quando il suo penultimo pokémon, Boltund, cadde sotto il potente attacco di Corviknight.

Per quanto sulla carta Loqi sapesse di avere un match up più che favorevole contro il pokémon di tipo volante di Cor Leonis, era l'esperienza di quest'ultimo a farla da padrona in momenti come quello, anche se, ovviamente, Loqi non era tipo da arrendersi tanto facilmente.

Per quel motivo, nonostante l'impossibilità di sfruttare una seconda volta la Dynamax - l'aveva utilizzata con il suo secondo pokémon, Jolteon -, lanciò sul campo la sua ultima pokéball contenente Toxtricity.

Il Pokémon venne subito accolto da delle urla di giubilo da parte del pubblico e si mise in posizione, in attesa degli ordini da parte del suo allenatore.

«Siamo uno contro uno, Leonis», dichiarò Loqi, nascondendo dietro la sua spavalderia il timore della sconfitta.

Cor, ovviamente non si scompose né rispose alla provocazione, ma le sue labbra sembrarono quasi tremare forse nel tentativo di nascondere un sorriso. Non lo stava sottovalutando, né prendendo in giro, perché Loqi poteva leggere nei suoi occhi l’interesse e l’eccitazione per quella battaglia.

«Toxtricity utilizza Overdrive!», ordinò subito dopo sperando di anticipare la mossa del suo avversario che, sfortunatamente, non tardò ad arrivare.

Infatti Cor richiamò il suo pokémon nella sfera che, iniziò a brillare e a crescere segno dell'imminente trasformazione.

Loqi sapeva che lanciarsi all'attacco senza neanche prendere in considerazione il contrattacco del Campione di Galar era stata una mossa azzardata ma era era fatto così: si lanciava a testa bassa in ogni sfida.

La versione Gigamax di Corviknight gettó sul campo un'ombra scura e l'attacco di Toxtricity andò a infrangersi contro la Dynabarriera chiamata da Cor.

L'elettricità sfrigolò al contatto con quello scudo protettivo, tant'è che Loqi dovette quasi socchiudere gli occhi per non rimanerne accecato.

«Corvinight, attacca con Dynajet», la voce di Cor si sollevò, forte e sicura, superando qualsiasi altro rumore e Loqi fu costretto a schermarsi il volto con le braccia nel sentire il vento generato dalle ali del pokémon del suo avversario investire in pieno il suo Toxtricity.

In condizioni normali, il suo pokémon sarebbe anche stato in grado di resistere, ma Corviknight portava con sé le statistiche aumentate della lotta precedente e, sfortunatamente, quell'attacco fu fatale. Toxtricity infatti barcollò un poco prima di cadere per terra e Loqi, abbassando le braccia, non poté far altro se non richiamarlo dentro la pokéball.

Era stata una battaglia lunga e combattuta ma, quell'ultimo scambio di attacchi gli era sembrato durare un'inezia, come il battito delle ali di un Cutiefly. Una sola mossa ben giocava e Loqi si ritrovò a dover a malincuore accettare la sua sconfitta, l'ennesima nel suo lungo elenco di battaglie contro il Campione di Galar.

Si morse le labbra e mormorò delle scuse al suo pokémon chiuso nella sfera, alzando poi lo sguardo quando Cor si avvicinò a lui tendendogli la mano come da regolamento.

«Complimenti», si congratulò l’uomo.

Il tono era serio e sinceramente ammirato. Quella era una delle cose che Loqi apprezzava di Cor: non lo sottovalutava mai.

Lo reputava un avversario valido nonostante le numerose sconfitte, ma soprattutto non faceva mai pesare quei dettagli sulla loro relazione. E, onestamente parlando, non era una cosa semplice visto il caratteraccio di Loqi - cosa della quale entrambi erano pienamente consapevoli.

Vivere insieme come coppia, nascosti dalle telecamere che seguivano i loro movimenti, non era semplice ma se la cavavano e il riuscire a superare quelle sconfitte senza troppi drammi era sicuramente una delle cose più importanti.

Loqi accettò quindi la mano, cercando di mostrare il suo lato più sportivo al pubblico e di aggrapparsi alla sensazione che in giorno sarebbe stato lui il prossimo Campione di Galar.

«La prossima volta andrà diversamente», rispose con orgoglio.

«Ne sono certo», assentì Cor, abbassando poi la voce per evitare che i numerosi microfoni dell’arena catturassero le sue parole, «Vuoi andare da qualche parte per cena?»

Loqi trovò impossibile non sorridere per quella domanda tanto semplice quanto assurda in quella situazione. L’intento di Cor era chiaro, ma era altrettanto piacevole rendersi conto anche di quella piccola attenzione nei suoi confronti.

«Ceniamo in albergo. Niente di troppo speciale, non voglio essere assalito dai giornalisti», concluse semplicemente.

«Affare fatto».


kurecchi: (Default)
 

Fandom: Sons of Anarchy 

Personaggi:  Juan Carlos Ortiz "Juice", Filip Telford "Chibs"

Rating: SAFE

Parole: 445

Note:

  1. Ambientata durante la terza stagione

  2. Le età canoniche dei pg non sono mai state rivelate e non mi piace basarmi sull’età degli attori (10 anni di differenza) perché Theo sembra molto più giovane della sua età XD Quindi per me Juice ha 25 anni mentre Chibs 45.


Juice odiava il freddo.

Per uno come lui, abituato alle calde temperature di Charming, il meteo di Belfast era un vero e proprio strazio.

Si sentiva gelare fin dentro le ossa, e neanche le due coperte extra che aveva rubato ad un prospect dei SAMBEL sembravano essere in grado di placare i brividi e lo sbattere dei suoi denti.

Belfast non era un brutto posto, quello doveva ammetterlo, ma in quei momenti sentiva davvero di detestarlo. Lo odiava a tal punto che il suo minuscolo appartamento, con la caldaia rotta, gli mancava tanto quanto le stanze riscaldate della clubhouse.

Sentiva la mancanza dell'afa dei deserti e delle strade asfaltate della California, ed era pronto a giurare che pur di non sentire più quel gelo si sarebbe addirittura messo a lavorare per ore su qualche motore bollente nel garage.

E sarebbe stato fottutamente bello il poter condizionare la sua mente con quei rassicuranti e caldi pensieri, ma sfortunatamente quel tipo di psicologia era una gran stronzata.

Solo una persona poteva aiutarlo e quel bastardo sembrava quasi amare il farsi attendere un quel modo.

Juice sbuffò irritato, stringendosi il più possibile tra le sue coperte, e fu solo il leggero cigolio della porta a distoglierlo del tutto dai suoi pensieri, donandogli un pizzico di speranza.

«Dormi?», la voce calma e bassa di Chibs riempì delicatamente il silenzio della stanza.

«Secondo te?», ribatté Juice, nascondendo il sollievo dietro l'irritazione.

«Immagino tu abbia freddo», ironizzó Chibs, sedendosi sul letto per privarsi degli scarponi.

«Sono ad un passo dal sentire le palle ritirarsi, vedi un po' tu», rispose. Sapeva di suonare un poco petulante in quel modo, ma detestava per davvero il freddo e non era per niente in grado di nasconderlo… almeno non di notte, non mentre sapeva di meritarsi almeno quattro ore di sonno stretto al corpo caldo e accogliente del suo partner.

«Quello sarebbe un problema», lo assecondó Chibs, palesemente divertito, «le tue palle mi piacciono parecchio».

«Se non ti muovi quelle palle non le vedrai più. Letteralmente e non», mugugnò strappando una roca risata all’uomo.

Chibs non rispose ma si sollevò di nuovo dal letto per scostare le coperte e distendersi finalmente accanto a Juice che, ovviamente, gli fu subito addosso alla ricerca del calore che quel corpo era in grado di donargli ogni notte - anche in quelle fin troppo bollenti della California.

Intrecció le gambe attorno a quelle del suo compagno e si premette completamente contro di lui come per impedirgli di allontanarsi - cosa che, come ben sapeva, era impossibile.

«Va meglio, Juicy?»

L'alito caldo di Chibs gli accarezzò il viso, strappandogli un sospiro sollevato e un minuscolo sorriso.

«Ora sì».


kurecchi: (Default)
Parole: 520
Prompt: Pioggia/Sereno

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Per quanto la Pozione Anti-Lupo fosse una delle scoperte più importanti del secolo nella comunità dei lupi mannari, non era ancora in grado di compiere dei miracoli. Remus, infatti, non poteva evitare di sentirsi sempre stremato e distrutto dopo ogni luna piena, al punto da non riuscire quasi ad alzarsi dal letto.


Era l'Ordine della Fenice a prendersi cura di lui in quei momenti, e non poteva non sentirsi lusingato oltre che estremamente fortunato nel poter ricevere tali attenzioni, come la cioccolata che gli portava - a prescindere da ogni cosa - Tonks o la zuppa calda preparata da Molly.


La situazione era grave ma era bello poter considerare quelle persone una sorta di famiglia. Si sentiva felice e sereno come quando frequentava ancora Hogwarts con i suoi migliori amici che erano soliti fargli compagnia e prendersi cura di lui proprio in quello stesso modo, senza chiedere nulla in cambio se non la sua amicizia.


Erano stati gli anni migliori della sua vita, i più spensierati e felici.


Di quel gruppo erano rimasti solo lui e Sirius ormai, e per quanto Remus si sentisse pronto a dare tutto quello che possedeva pur di riportare tutto alla vita che aveva conosciuto ad Hogwarts, sapeva di dover solamente guardare al futuro.


Perché aveva ritrovato Sirius, colui che era stato per lui più di un amico e di una famiglia, la persona che aveva amato in passato e amava tutt'ora più della sua stessa vita.


Erano insieme dopo tutti quegli anni ed il passato, per quanto allettante e lieto, doveva restare tale. Avevano l'opportunità di vivere di nuovo l'uno accanto all'altro e di creare qualcosa di nuovo.


Tuttavia, Sirius sembrava non essere pronto a rinunciare ad alcune cose del passato, perché per quanto non ci fosse più bisogno della presenza di qualcuno accanto a Remus durante la trasformazione sotto l'effetto della Pozione Anti-Lupo, Sirius si ostinava a passare ugualmente le notti di Luna Piena in sua compagnia.


«Abbiamo perso troppo tempo… e voglio condividere con te ogni singolo istante, perché non sappiamo quando potrebbe finire», sosteneva il suo compagno, e Remus non poteva far altro se non dargli ragione.


Per quel motivo non si lamentava più di tanto quando Sirius prendeva la sua forma canina per attendere la trasformazione, né riusciva ad impedirgli di aprire la finestra di Grimmauld Place per scappare fuori sotto forma di Felpato.


Correvano insieme, anche sotto la pioggia come in quel momento, e si godevano quelle notti di libertà come se non fosse cambiato niente in quel mondo dai tempi di Hogwarts.


Era perfetto, tanto quanto lo era il bacio che Sirius gli rubava ogni mattina al termine della trasformazione: il primo da umani dopo la notte passata ad essere degli animali sotto la pioggia.


Poi, fradici e puzzolenti come 'cani bagnati', si chiudevano a chiave nella loro stanza e stendevano insieme a letto, ignorando tutto quello che li circondava per concedersi una lunga sessione di coccole, che facevano sentire Remus amato e felice come non mai.


Alla fine non era la Pozione Anti-Lupo a fare miracoli, ma era Sirius a rendere tutto unico.



kurecchi: (Default)
Prompt: Inseguendo un'ombra

Words: 5190

Notes:

  • I dedicate this fic to my 'platonic soulmates' (Sil and Alasse) and my little sister (Mimì). You can't even imagine how much they helped me while writing this story!

  • Forewarned is forearmed: if you don't like the couple don't read.

  • I apologize a thousand times for my english. I'm trying to improve myself!


1.Burnt stones

(provvisorio)


Slowly the flames that had devoured that room and the Hilichurls, who had chosen it as a refuge, went out, leaving only an annoying and acrid smell in the air attributable to the burnt stone. Many would have winced, but there was nothing more familiar to Kaeya.


He had grown up side by side with a pyro user, and he had learned to recognize and appreciate those strong smells, which is why every time he took Klee with him for some mission, for him it was a bit like going back in time, to when his life was simpler and happier in a way.


Kaeya smiled at those thoughts - with nostalgia, of course, but it was still a smile - and he gave that same smile to Klee too, who trotted beside him again.


Together they moved to the door that had just unlocked and, once at the top of the staircase, Kaeya stopped to take a first look inside the new room.


Other Hilichurls. Lesser enemies that Klee would have easily defeated even without his help, because with that quick glance Kaeya had also identified his true target.


Then he turned to the child, lowering himself to his knees to be level with Klee, looking at her with a real expression of pride and amusement.


«Are you ready to attack those bad guys?» he asked.


Klee adjusted her backpack better on her shoulders, then nodded with conviction, adding: «I’m very ready!» as if to confirm her awareness of that mission.


She was innocent and full of energy, like any little girl her age, but when it came to helping the Knights of Favonius, the little Spark Knight always managed to bring out that pinch of seriousness that made her appear to everyone as tender as dangerous. Quality that Kaeya couldn’t fail to appreciate.


«Good,» he murmured. «So... let's recap what I told you before we went into the Temple, okay? We’re almost at the end. On my count, you will have to attack with your Jumpy Dumpty, and I will run towards that staircase. It's important that you stay here to make sure no bad guys try to reach me. You have to guard and you won't have to follow me, are we understood?» he asked, casting another quick glance towards a large stone arch that overlooked a staircase.


Even from their position, a sinister green light could be seen and Kaeya knew that there, at the top of those stairs, he would find his target. Because, on the other hand, that was the usual modus operandi of the Abyss Mages. They used to always choose the innermost places of the Domains or Temples to take refuge, exploiting not only the mechanisms erected to defend those ancient places, but also the beings who already used those structures as a semi-temporary home.


Kaeya had used the excuse of 'clearing the Temple of the Wolf of the Hilichurls' to enter that place without arousing too many suspicions. He had heard of the presence of the Abyss Order and he had acted accordingly, hoping to find both information about the elusive Prince - appointed by some Mages that he had already questioned - and some hints regarding the future plans of the Order.


The mission was honestly a long shot, because he knew he couldn't trust the Mages at all, but even when in doubt Kaeya knew he had to act... and he had to do it as quickly as possible.


Not that there was any imminent threat to Mondstadt and its inhabitants, but Kaeya knew only too well that there was one person in particular who was hunting the Order without caring about the dangers. Diluc wasn't weak or clumsy, since he was one of the strongest warriors in all of Mondstadt, but the Abyss Order was no ordinary organization, and Kaeya would do anything to stop the other from coming into close contact with those beings in one of his 'lone crusades'.


Of course, Kaeya wasn't foolish enough to think that this little effort of his might actually keep Diluc from clashing with the Abyss Mages or the Fatui, but he also knew that he would feel almost calmer if he managed to avert some futile battles.


As much as he wanted to minimize it with jokes and a lot of mischief, Kaeya hadn’t been able to free himself from the feelings that had tied him for most of his life to Diluc Ragnvindr .


How could this have been possible? They had grown up together as brothers, had eaten at the same table and slept under the same roof. They had created such an intense and intimate relationship that they could even guess the other's thoughts without even speaking. A bond, at least for Kaeya, that wouldn't be broken that easily.


Either way, he couldn't deny that he felt a kind of selfish feeling of self-preservation when it came to the Abyss Order. As much as he had chosen to place his loyalty to Mondstadt by now, paying the price of his vow with the fracture that had been created between him and Diluc, Kaeya knew he could hardly keep Khaenri'ah from his existence.


The Abyss Order and Khaenri'ah were related. Their paths ran side by side, creeping into past, present and unfortunately future intrigues that encompassed all of Teyvat… and which, like it or not, were part of Kaeya's life.


Klee's little voice brought him back to reality, and dismissing the thought of Diluc and Khaenri'ah, he turned back to the little girl who had addressed him with a doubtful: «Kaeya-gege, are you sure you don't want a hand?»


Kaeya smiled and adjusted the hat on her head in a sweet and almost fatherly gesture. It was easy to love Klee, and Kaeya's love for her was sincere and not of convenience.


In expanding his network of information, Kaeya had formed various ties with disreputable individuals only for his own gain or that of the Knights of Favonius, but not with Klee.


Klee who, as much as he would have liked to deny it, reminded him of Diluc. Beyond her scarlet eyes and her Vision, the child's bright and energetic character was not so unlike that Diluc that he harbored in his childhood memories.


At their first meeting, Diluc had appeared to him like a ray of sunshine by which he had immediately felt bewitched, like a moth being attracted to a flame. And Klee gave off that same warmth, reassuring and innocent. A certainty for Kaeya, and also a balm to soothe the wounds of his soul.


«I'm sure. And as soon as we finish here, let's go to the Good Hunter to eat together. I'll buy you everything you want,» he said, adding a: «So, Klee… do you understand that you don't have to follow me?»


He trusted Klee and her abilities. He knew that the Hilichurls present there were nothing to worry about the child's abilities, but with equal certainty he knew that the situation would change drastically once he reached the heart of that Temple, in which the members of the Abyss Order were surely hiding.


Kaeya's methods may have been questionable, and he may have even taken Klee as a companion for that mission precisely because the child's innocence allowed him to come up with any excuse to silence any inappropriate question, but he would never have put her off danger. For that reason he wanted to make sure that Klee understood her role.


«Yep!» stated the little girl.


«Very good,» agreed satisfied Kaeya, then urged her with a: «So... now go and blow all those bad guys!» 


Klee gave him a broad and warm smile, immediately showing herself excited by the idea of being able to experiment with her bombs designed with Albedo's complicity. In fact, the little girl seemed to no longer want to wait, and sprinting forward she began to burst bombs and one of her Jumpy Dumpty.


The shockwave of those explosions literally made Hilichurls jump into the air, completely unprepared for an attack of such power.


Kaeya himself could not help but be almost enchanted by those flames and the actual destructive power of Klee. She was a true marvel, and once again Kaeya couldn't help but think of the distant memories of his childhood, in which Diluc was the genius loved and admired by all.


He forced himself to quickly return to reality - it wasn’t the time to let go of those nostalgic thoughts - and with his mind clear again he ran towards his goal, hoping that this wasn’t a dead end.


He quickly passed the stone arch to launch himself up the staircase, killing with quick swipes the Hilichurls who had the misfortune to be in his way, leaving behind him the explosions generated by Klee’s bombs, which shook those ancient walls.


That was certainly one of the bad things about working with Klee: the noise.


The child's admirable skills were useful for attracting attention elsewhere, for creating diversions, or for escaping, but they certainly weren't for moving in the shadows undetected. Obviously, Kaeya had taken into account that 'little detail' - he always had to be one step ahead of everyone - and he had hoped that noise would distract the Abyss Mages and put them at a disadvantage.


He just had to be quick to make a surprise attack, and also bring a possible numerical - and elemental, at worst - disadvantage in his favor.


Kaeya reached the end of the staircase ready to launch the attack, but found himself in front of a large, empty square room.


He stopped in place, his muscles tense ready to react to a possible ambush, which nevertheless didn’t arrive. Klee's noise had certainly alarmed the Abyss Mages, who had preferred to hide rather than face a frontal attack.


Never letting his guard down, Kaeya ran his gaze around the entire perimeter of the room, studying every aspect for clues.


Bright symmetrical lines intertwined on the ancient stone walls, making the atmosphere of that place full of mystery and magic. Like the other rooms Kaeya had visited on that raid, this one too featured four columns. They stood imposing and resistant at the corners of what could resemble a small arena, surrounded by a short staircase that seemed almost the rampart to the center of the audience.


Kaeya took a first step, immediately noticing how those regular and orderly lines were in stark contrast to the uneven floor in front of him, surely a sign of the neglect and the battles that had taken place within those walls.


Muscles still ready to spring, he glanced to his left, on which stood the source of the greenish light he had seen since the other room: a Door of Resurrection.


The light seemed to emerge from inside the stone structure, delicately caressing the outline of the nearest column and the uneven floor, while small spheres of light - which at a very first glance didn't seem so dissimilar to fireflies - floated around that ancient mechanism making it almost 'alive'.


The entire Door of Resurrection was trapped by roots that tangled around the structure in an intimate yet powerful embrace. It was able to vibrate the air around Kaeya with an old-time magic, drawing its power from the heart of Teyvat.


It seemed almost an intruder in that large room with such neat lines, and at the same time its presence in the temples was as reassuring as it was sinister. Because if on the one hand the Doors of Resurrection could mark the survival of the Adventurers who received his blessing, on the other it was possible that in the hands of the Abyss Mages they could become poisonous tools for the machinations of the Order.


With those thoughts, Kaeya slowly walked down the steps without stopping to study his surroundings. He was ready to draw his sword at the slightest threat, and dosing every single breath he walked towards the center of that arena, the heart of the room.


Beyond the Door of Resurrection and the bright decorations on the walls, there were no other sources of light, in fact the opposite side of the room looked gloomy and almost shrouded in shadows. The torches, placed on the four sides of the room, which should have mitigated the darkness of the audience, were conveniently extinguished.


Perhaps, Kaeya told himself, it was precisely the members of the Order who had extinguished them to cast those shadows on some areas of the room, but on the other side he could also hope for a better hypothesis: that which saw an Abyss Mage devoted to the Hydro element as the proponent of that darkness.


Kaeya paused as soon as he reached the center of the audience, his ears strained to pick up any noise that hadn't been made by the soles of his boots against the cold stone pavement - or Klee's explosions echoing up there in dull booms amplified by the breadth of those environments.


Kaeya ruled out having made a hole in the water, because although the room appeared deserted he felt someone's gaze upon him. All his movements, from the very first step into the hall, had been carefully followed by a being hidden in the shadows and waiting for nothing but a false move from him. Which, of course, would never come.


He relaxed his shoulders, closing his eye without ever letting his guard down, letting his senses guide him in that instant.


He breathed softly, allowing his Elemental Sight to expand into every corner of that room in search of its target. He could feel the floor shake a little with each explosion, the steady beating of his heart and even the slight sizzle of the Door of Resurrection, loaded with ancient magic. And in the end it was precisely towards that point that Kaeya turned his gaze the next moment, with a smirk just hinted in his lips.


He had found his target.


«Come on out,» he ordered, staring at the column next to the Door of Resurrection.


The Abyss Mage's response was not long in coming. The Mage, in fact, left their hiding place, floating placidly in mid-air. Their body was wrapped in a pale green shield that almost seemed to reflect the light emitted by the Door of Resurrection.


They was different from the other Abyss Mages that Kaeya had had the opportunity to meet, and given the colors of the Mages' clothing, it didn't take a genius to understand that they was linked to the Dendro element, and that also made clear the reason for the absence of fire in the torches.


Kaeya continued to study them carefully, trying to see in their figure some details that could have escaped to an unwary observer, but that could have a completely different weight for him.


The symbol of the Dendro element, confirming the earlier finding, appeared emerald green on a light background on the front of the Mage's robe, as foreign in color as it was familiar in shape. Like their fellows, the Mage wore a long, wide-sleeved tunic, characterized by thick dark green edges that created a pleasant contrast to the lighter shades of the other decorations. Friezes that appeared as intricate, but equally delicate leaf-like embroidery.


Finally there was the off-white mask, which stood out among the thick forest green fur that not only concealed the true appearance of the Abyss Mage but also their expressions.


As much as Kaeya tried to always be one step ahead of everyone, the appearance of that unusual Abyss Mage had honestly displaced him. He was aware of the existence of Mages devoted to the Dendro element, but it was the first time he had seen one here in Mondstadt and that was a more than obvious sign of the moves the Abyss Order was making in the shadows.


In any case, Kaeya told himself without letting his guard down, it wouldn't be a real problem to put it out of action. He didn’t start with a clear elemental disadvantage, and the only obstacle to elaborating an effective attack plan was the lack of information regarding the abilities of his opponent, who at that moment appeared strangely unarmed. In fact, the Dendro’s Mage seemed without a scepter or wand, the tools they used to channel its powers. And that was a detail decidedly anomalous and not negligible.


It could be a trap, Kaeya realized without taking his eyes off the floating figure. From experience he knew that the Abyss Mages also used to have a lot of tricks up their sleeves and he shouldn't be caught off guard.


«I didn't expect to be discovered so soon.» 


The voice of the Abyss Mage broke the silence of the hall, echoing like a sinister echo in those ancient walls. They had spoken in the current language of Teyvat, and their vibrant, croaking tone had reached Kaeya's ears unpleasant and annoying. They reminded him of the screeching of fingernails against a blackboard, so much so that he had to restrain himself from shivering and showing his upset too openly.


He tried to focus on something else, such as the fact that the Abyss Mage hadn’t given any particular inflection to their statement, no amazement or anger, or any other feeling that might have been felt in a similar situation. They seemed calm and Kaeya forced himself to wear a relaxed, almost mocking expression.


He would have been in the game, and shrugging his shoulders he gave the Dendro wizard a small smile.


«I have my sources,» he answered simply, taking a first step towards the Mage.


Breaking the barrier that protected the Mage wouldn't be easy, he told himself, but it wasn't impossible either. Once that shield was broken, it would have been much easier to capture and interrogate them.


Klee would have been very useful with his bombs right now, but Kaeya was always determined to keep her away from the Abyss Order. Elemental advantage or not, they weren’t adversaries he would have lightly entrusted to the child.


He reasoned about how to use the land and the hall itself in his favor, never losing sight of the Mage that continued to float near the Door of Resurrection. They seemed strangely attracted to that structure, almost protective, and Kaeya couldn't help but wonder why they were so interested. That didn't promise anything good, he was sure of it.


The Mage made a laughter-like sound, as annoying as his voice.


«You’re wrong if you think you can get information from me,» declared the Abyss Mage. Their pompous tone made their position even clearer, perhaps they didn’t appear frightened or surprised by that attack because of their ideals, in fact the Mage seemed quite ready to do battle.


Pride, and often fanaticism towards the precepts of the Order, were the hallmarks of the Mages. They were ready to die to protect their goals, and precisely because Kaeya understood and knew their way of thinking, he knew how to use it to his advantage.


He also kept his cool, answering the wizard's brave statement with a sharp: «In the end, everyone talks.»


His sentence seemed to have the desired effect, in fact the magic of the Abyss Mage seemed to tremble at what Kaeya had insinuated covertly. He had struck the Mage precisely in the pride and belonging to that order so important to them. Kaeya had questioned many Abyss Mages and he had no qualms about getting the information he needed.


The wizard hissed nervously but seemed to be in control of their actions. They floated even closer to the Door of Resurrection, placing their hand on it. A slight disturbance, caused by that contact, shook the luminous dust and the magical aura of that structure.


«I was looking for a lab rat,» declared the Mage with hostility in their voice, forcing Kaeya to draw his sword.


The Abyss Mage’s little fingers tightened around one of the branches of the Door of Resurrection, a gesture that seemed to tear a lament from that magical structure, which vibrated with a life of its own. It wasn't a real moan of pain, but rather it seemed like a kind of disturbance that radiated into every corner of that room, also investing Kaeya's senses.


It wasn't a good thing, Kaeya told himself, and while launching an icy attack on the sorcerer, he couldn't do anything to stop the Mages from plucking that branch. The energy that was released was such as to vibrate the light that radiated from the structure, almost disturbed and 'painful' for that useless and gratuitous violence.


The blades of ice he had thrown at the Abyss Mage exploded against their shield which, fortunately, appeared almost weakened by the magical wave that had flowed from the Door of Resurrection. However, that didn’t seem to worry too much the Mage who immediately responded to Kaeya's attack using that branch as a catalyst of their power.


Kaeya moved quickly to the side to dodge the green beam that emerged from the scepter of the Mage, and with the hilt of the sword now gripped in their hand, he let go of all hesitation to launch into that fight.


He struck the wizard's shield again, with both powerful sword slashes and as many ice attacks, while attempting to dodge his opponent's offensive.


Kaeya knew their way of fighting, they attacked swiftly and moved from one point of the battlefield to another. Often the Abyss Mages almost seemed to dance and hum to mock their opponents, but while similar to the other wizards this wasn’t one of the classic Mages Kaeya had to deal with.


Although the sequence of attacks was similar, Kaeya certainly didn’t expect to have to defend himself also from the vines, which began to emerge from the broken tiles of that floor. He sliced through them with his sword, then leaping backward as he thought he saw the energy of the Abyss Mage concentrate in a single spot beneath his feet.


The sound of the stone shattered by the roots, which had emerged violently among the tiles, proved Kaeya's intuition right: he had just dodged one of the Mage's strongest attacks.


Kaeya didn’t allow himself to be distracted by that small victory because the battle wasn’t over yet. He was able to sense the presence of the sorcerer behind him, but even before he could protect himself with the powers of his Vision or with the sword, words reached his ears in a language terribly familiar to him. His heart, already agitated by that fight, seemed to almost stop.


«Senz'abba is frores morit in s'agonia...»


It was the oldest language of Khaenri'ah.


In those years he had become accustomed to seeing only a few hints, legacies of a distant and almost lost past, but the one pronounced by the Mage was the oldest language. The most mysterious and lost in time Khaenri’ahn.


Kaeya understood those words only by assonance with the more 'spoken' one, and he would never have expected to hear it pronounced with that strident and unpleasant sound.


It was that moment of astonishment that made him hesitate and allow the Abyss Mages to hit him in the chest with a ray of magic. He was thrown back a few meters, ending up on the ground in a groan of pain from the blow he had just received.


Kaeya cursed mentally for allowing himself to be distracted like that, and ignoring the pain and magic that was radiating throughout his body, he got to his feet, ready to launch into another attack, with the ice of his Vision swirling around himself.


«Jumpty Dumpty! GO!»


A new voice, childish and awfully familiar, came from Kaeya's shoulders accompanied by an explosion that boomed loudly throughout the room. Kaeya was stuck in place in amazement and the Mage, hit in full by the Jumpty Dumpty, fell to the ground, writhing in pain and the flames that had begun to devour them.


Kaeya blinked his eyes several times, genuinely surprised, and turning towards the entrance to the chamber he could immediately see the small figure of Klee. On her face she had a worried expression, mixed with guilt, and when their eyes met, the little girl tried in vain to hide behind the stone wall.


She had disobeyed Kaeya's orders, and while he felt angry at her lack of discipline, the soft spot he had for that little girl almost immediately led him to forgive her. After all, Klee was a child, and he couldn't really expect total obedience.


He sighed, deciding to let go of the lecture he should have given Klee for a few moments, to approach instead the Abyss Mage who had stopped rolling on the ground. They smelled of burnt grass, and beside them lay the torn branch from the Door of Resurrection that glowed as if it were still loaded with magic. The Mage was dying now, and with their last gasps they were continuing that sort of poem so familiar to Kaeya's ears.


«Ti calent... lampos e tronos… M-malarittu... tui non b-bias mai... s'amori frorias...»


The last words died away in a low lament that decreed the wizard's death. In the end Kaeya hadn't been able to question them but somehow he knew he wasn't going to walk away empty handed from that fight. Because not only were the Abyss Mages Dendro approaching Mondstadt, a sign of the increasingly complex machinations of the Abyss Order, but they also seemed to be interested in the Doors of Resurrection and their mystical power.


He touched his chest, where he had been hit by the Mage's attack, almost without thinking. He felt no pain but only a slight numbness, accompanied by a vague feeling of apprehension related to the Abyss Mage’s words.


He seemed to know that poem, but it was also likely that it was only because of the familiarity he had felt in hearing the language of Khaenri'ah after so long. He mentally repeated those lines, finding them strange but equally intriguing, and what he didn't understand was why the Mage had decided to utter those lines at that moment.


It could be a coincidence, a way to make fun of him or not to point out some other detail about the Order... it could be anything and everything, and Kaeya hated that uncertainty.


He sighed and shook his head, trying to think more clearly. The information he had gathered, unfortunately, hadn't added anything to the figure of the Prince, and the only thing he could take away from that mission was the branch plucked from Abyss Mage.


He picked it up carefully, turning it suspiciously in his hands. It still glowed but dimly, as if it were losing its magic now. Kaeya felt no 'evil intention' coming from that object, but he couldn't be sure. But he knew someone who would be very interested in experimenting with it and analyzing it.


«Kaeya-gege?» Klee's shy little voice roused him, prompting him to momentarily put that branch away in his Dimensional Storage and put his reasoning aside.


He turned to the little girl, half hidden near the wall, and Kaeya found himself forced to take on an even more serious expression. The danger was over and he really needed to reprimand Klee for her behavior.


«What did you have to do?» he asked without too many words.


He wouldn't scold her or send her in detention as Jean used to do, but Kaeya would try to make her understand that what she had done was wrong. He would have made her think, because Klee was a clever child and he was sure she would understand if he explained the situation to her. On the other hand, you can catch more flies with a spoonful of honey than with a cupful of vinegar.


Klee hid behind the stone arch again, chirping a: «Blow up the bad guys...»


«And then?» insisted Kaeya, reaching for her and stopping in front of her with his arms crossed over his chest.


«... wait for Kaeya-gege without coming here,» the little girl murmured in a guilty tone and her head down. It was good that she had taken the orders, a little less that she had voluntarily broken them.


«What did you do instead?»


«I didn't wait...» admitted Klee. «But... but you never came back and I was afraid that something had happened to you! And you got hit! And I had to blow up Mr Broccoli!» added quickly the little girl, raising her head in a gesture of courage to try to defend her choice, which from her point of view must have seemed the right thing to do.


Her ears were low and her eyes almost wide, with a small hint of tears in the corners, and Kaeya could no longer keep that serious frown. He knew how sensitive Klee was and how much she hated angering or worrying people she loved, and he must have really scared her for having pushed her to act like that… besides, that Temple was certainly not a place for a child. As a result, he knelt to be her level and look her in the face with a small smile.


«I'm sorry I made you worry Klee. But if I told you not to come here, there was a very specific reason, and I wanted to protect you,» he explained calmly. «What would have happened if Mr Broccoli had attacked you? You could have hurt yourself a lot and I would have been terrified.»


Klee pouted and lowered his head again whispering: «Sorry, Kaeya-gege...» loaded with awareness. Kaeya spoke again, taking Klee in his arms to reassure her and hold her in a hug.


«Next time try to obey orders, okay?» he kissed her forehead gently. The little girl returned the hug, nodding and sinking her face into the fur covering Kaeya's right shoulder.


«And anyway... it was a good move, congratulations,» added Kaeya at that point to try to cheer her up, which actually worked right away.


In fact, Klee seemed to find some of her natural light again, and raising her head she smiled at him, showing herself particularly proud of that compliment.


Kaeya pinched her nose affectionately, heartened by her smile.


Klee was like a real ray of sunshine, and the affection and happiness in the little girl's eyes helped Kaeya to forget that slight numbness he kept feeling in his chest.


An annoyance that, fortunately, was completely forgotten during their way back to Mondstadt.




Note Finali:

  • The poem pronounced by Abyss Mage is in Sardinian, and it was invented by me with the help of a friend..

Initially I wanted the language of Khaenri'ah to be Latin, but I remembered the motto of the Adventurers’ Guild and I said to myself: “It's impossible that Kaeya hasn't heard it for a long time”. Consequently joking with Alasse and Sil I said: "The language of Khaenri'ah is Sardinian"... and in the end it remained that way.

This stems from our headcanon which sees Khaenri'ah as Atlantis, and Sardinia is said to be the real Atlantis.

Here is the translation of the sentences of the Abyss Mage:


Senz'abba is frores morit in s'agonia (Without water the flowers die in agony)

Ti calent lampos e tronos (thunder and lightning descend upon you)

Malarittu, tui non biasa mai s'amori froria (Damn you, you'll never see love blossom)


  • About Dimensional Storage. It’s an ever present tropes in various games, but I’m a strange person and I wonder: "How does it work?"

My answer was: "It's about the Visions". This is because only the Vision users seem to be able to summon weapons, while the Knights of Favonius and the Millelith have them visible.

So if they can put away and recall weapons, they can do it with other items as well.

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Fandom: Genshin Impact

Characters: Kaeya Alberich, Diluc Ragnvindr

Rating: SAFE

Words: 1070

Prompt: Soulmates!AU | L'altro capo del filo

Note:

  1. Post-WebToon. After Kaeya brought the vision back to Diluc.



Kaeya was no stranger to the definition of "Vision Resonance". Since he was a child he had heard of that rare event linked to the figure of some Vision Users. A circumstance that, in one way or another, could have led the lucky owners of that Archon’s gift to find their 'soulmate'.


In fact, from time to time, it could happen that two Visions were particularly compatible with each other. And the reaction resulting from that resonance created not only an elemental trace, not unlike a red thread that united the two Users, but also a synergy between their elements in battle.


The definition of 'soulmate' was obviously very fictional, given that there was historical evidence of platonic relationships but equally powerful at the level of elemental reactions, but in a certain way it was what could be expected from two Vision united by the elusive red thread of destiny.


And until that morning the "Vision Resonance" had never been a problem or a reality for Kaeya.


For years, his Vision had never reacted and Kaeya had easily accepted the idea that his soulmate didn’t exist. On the other hand, it was a very rare event, and the possibility that he was one of the chosen ones for that gift had always seemed absurd as well as impossible.


Yet that morning, his Vision had begun to react, creating a vibrant glare of light around it that reminded him of the regular beating of a heart. Kaeya had watched it for a long time, surprised by that reaction, and only by using the Elemental Sight he was able to see a flickering red trace, similar to a thread.


It started from his left ring finger, and in soft curves it glided towards the outside of his apartment, tracing the path that would guide him to another Vision User who, in one way or another, would become part of his existence.


Kaeya, however, was unable to welcome that discovery with joy and emotion, nor with any other feelings that should have been felt in a similar situation. Instead he felt quite nervous, because he didn't need such a bond.


His life was poised between light and dark. Made of friendly but hollow smiles and speeches on the integrity of the Knights of Favonius, things that instead concealed an underground network of informants extended beyond the borders of Mondstadt. It wasn’t an existence that he would have shared lightly with other people, because not everyone was able to bear such a weight and as many secrets.


Despite this, Kaeya knew with equal certainty that hiding that bond was impossible. On the other side of that thread there was another person able to find and follow the same track that he himself was observing. Their meeting would happen in any case, whether he wanted it or not.


For that reason, and even with a hint of curiosity, Kaeya left his apartment to face his soulmate. The sooner he would discover their identity, the sooner he would decide how to deal with the situation.


In his first steps away from the apartment, Kaeya was greeted by a newly awakened Mondstadt.


The Ludi Harpastrum had only ended the day before, but the city was still decorated for the party, and there was still the air of freedom and fun that had characterized those last few weeks.


With the help of the Elemental Sight, Kaeya took the road towards the dock square and then he went up to the open space outside Angel's Share. The tavern was still closed, in fact the outside tables were empty, but it was in that place that his Vision emitted a sort of tremor and the thread, which up to that moment had vibrated placidly, seemed to become more vivid.


Surprised by that reaction, Kaeya's eyes darted left and right, certain to be close to his 'target', and what his gaze met was only the familiar figure of Diluc, standing on the external stairs of the upper floor of the tavern.


He shouldn't have felt surprised, because Diluc had been back in Mondstadt for a few weeks now, and they had only seen each other the night before, but one detail was different and didn’t escape his gaze.


In fact, hanging from his belt, Diluc wore his Vision after three years of separation. The opaque color that had characterized it during those years had been replaced by a more lively hue, as if the Vision was 'happy' to have found its master and recovered its energy. It wasn’t a rare thing for those objects to behave in that way, since they generally lose their powers if deprived of their User.


Kaeya couldn't help but smile, showing his satisfaction with that discovery without any mask - it meant that the other had looked into the vase he had brought him the night before -, but soon his lips lost that smirk to assume a more surprised fold that was also painted on Diluc's face.


Because the thread that had led him there didn’t flee to other shores, but slid sinuously at the top of the stairs, stopping on the young man's left ring finger in a clear answer to the question: “Who is my soulmate?”


Kaeya couldn’t deny the amazement for that discovery nor a pinch of pleasure, because he didn’t need the Vision Resonance, or to get to the other end of a thread, to know that his life was and would remain forever linked to Diluc. He was the only exception in the list of reasons why Kaeya didn't want intimate connection with other people.


Yet on the other hand that was a problem, because their relationship couldn’t even be defined as a 'real relationship'... and the fact that Diluc, after overcoming the astonishment, had returned inside the tavern slamming the door behind him, said a lot about how he also thought about that situation.


The circumstances weren't the best, but Kaeya felt really relieved. Because the idea of entrusting his life to Diluc was something reassuring and pleasant for him: it tasted like the past that he thought he had lost forever.


Kaeya smiled again, and taking the road to the Knights' Headquarters, he couldn't help but think about the next meeting between him and Diluc, and how things would inevitably change.


Note:

"Vision Resonance" is my invention. To give some extra explanations... it only works when both visions are active with both owners. Diluc leaving the vision immediately after the fight with Kaeya partially deactivated it, and for this reason Kaeya's Cryo Vision never reacted.

Bello

Feb. 12th, 2021 07:42 pm
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Parole: 435
Rating: SAFE
Prompt: Conte

- Arthur è un mio OC e questa è una sorta di backstory. In futuro non verrà più conosciuto come Arthur, ma come Elaine e sarà una bellissima fanciulla è_é la Contessina di Geraint


Arthur Bran Geraint era, in linea di successione, il prossimo Conte di Geraint.

Si trattava di un titolo molto importante per la sua famiglia, il segno della fedeltà che riponevano ciecamente verso la Famiglia Reale, ma se Arthur doveva essere onesto, non aveva mai provato un reale interesse per la sua eredità.

Era stato istruito per poter prendere un giorno il ruolo che gli spettava, però non aveva mai sentito il trasporto e la fierezza di suo padre per quel titolo nobiliare.

Prendeva il suo futuro come un qualcosa di inevitabile, certo che un giorno chiunque si sarebbe rivolto a lui chiamandolo Conte Geraint, eppure in quel momento gli sembrava di poter scorgere quei giorni tanto lontani quanto vicini con uno sguardo diverso.

Ed c’era un qualcosa di stranamente rassicurante e terrificante nella sensazione che Arthur provava nell'osservare la sua figura riflessa allo specchio. Era un estraneo era quello che ricambiava il suo sguardo, ma al tempo stesso gli sembrava di avere dinanzi a sé una persona familiare, che conosceva da sempre.

Non vi era il futuro Conte, ma una persona con un abito femminile.

Arthur non stava bene vestito in quel modo, quello era un dato oggettivo. Perché l'abito di sua sorella gli vestiva stretto attorno alle spalle e abbondantemente sul petto. La lunga gonna color blu cobalto non arrivava neanche al pavimento e le maniche lasciavano scoperti i polsi.

Eppure... era bello. Bello in un modo che Arthur non riusciva neanche a definire e che sembrava cancellare il disgusto che, forse, avrebbe dovuto provare per se stesso.

La stoffa dell'abito gli accarezzava la pelle nuda con delicatezza mentre il velluto cadeva in morbide onde lungo le gambe, creando riflessi di colore che mutavano ad ogni suo singolo movimento. Il sole faceva brillare la passamaneria d'oro sul suo petto mentre sulla vita il vestito sembrava quasi perfetto per come gli stringeva i fianchi, già naturalmente fini.

Si sarebbe dovuto sentire a disagio in quelle vesti, era quello ciò che la società si sarebbe aspettato da lui, ma non lo era. Non si sentiva imbarazzato, e per quel motivo provava un terrore quasi assordante che gli faceva battere il cuore fortissimo e fischiare le orecchie. Era doloroso e terrificante.

Chiuse gli occhi, distogliendo lo sguardo dallo specchio e dalla sua immagine. Prese un respiro profondo, che scivoló fuori dalle sue labbra tremante e incerto.

Era bello, si ripeté mentalmente, ma nessuno lo avrebbe mai dovuto vedere o sapere. Perché lui un giorno sarebbe stato il Conte di Geraint e quello che vedeva allo specchio non poteva essere il suo futuro.



Morning

Mar. 31st, 2020 05:46 pm
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Rating: NSFW

Personaggi: Yande, Leste

Parole: 1105


Fu con dei baci sul collo e sulla spalla che Yande venne strappato al suo sonno. Erano leggeri, quasi pigri, ma troppo frequenti e 'mirati' per poter essere definiti causali.

Qualcuno stava cercando chiaramente di svegliarlo - con ottimi risultati - e Yande suo malgrado, sapeva anche l'identità di quel 'qualcuno'.

Proprio per quel motivo si sforzò di tenere gli occhi chiusi e di cercare al tempo stesso di mantenere in viso un'espressione neutra e rilassata, perché la nottata di sesso appena trascorsa aveva già guadagnato il titolo di 'errore numero uno del mese' e, sinceramente, Yande non voleva far salire i suoi errori mensili a due.

Fare sesso con Leste dell'Orologio non era stato deludente, tutt'altro in realtà, ma non era un'esperienza che intendeva ripetere tanto presto - cosa che poteva sembrare quasi scontata vista l'erezione mattutina del più giovane che premeva contro il suo fianco.

Yande non sapeva, in tutta onestà, che cosa gli fosse saltato in mente la sera prima. Aveva sempre messo in chiaro la sua posizione nei confronti di quel ragazzino, eppure era ugualmente cascato nella sua trappola.

Era stato bravo, quello doveva ammetterlo. Leste era stato paziente e lo aveva sedotto poco a poco, fino a farlo capitolare in quel modo. Lo aveva portato ad un punto nel quale il desiderio di possederlo era stato più forte dei principi ai quali Yande era solito appellarsi, ed era stato 'intenso'. Il corpo di Leste si era dimostrato perfettamente compatibile con il suo, e quello sfortunatamente non aveva reso le cose più semplici per Yande. Perché aveva l'assoluta certezza che quel livello di compatibilità era solo un trucco, un abile inganno di Leste per attirarlo nella sua tela di ragno.

Una dolce trappola, caratterizzata da un corpo caldo e accogliente, da baci e carezze intime... troppo perfetto per essere vero. E a mente lucida Yande poteva dichiarare tranquillamente, ma con un po' di imbarazzo, che Leste poteva aver vinto quella battaglia, ma non la guerra.

Per quel motivo, nonostante i continui bacetti del più giovane, Yande si impose di mantenere la sua posizione.

Si sarebbe stancato, prima o poi - o almeno sperava.

I baci però continuarono, delicati e quasi giocosi, e per quanto Yande fosse fermamente convinto della sua presa di posizione, non poteva fare niente per placare le reazioni del suo corpo che era ormai sveglio e reattivo tanto quanto la sua mente.

«So che sei sveglio», mormorò Leste, con tono divertito, salendogli letteralmente a cavalcioni, «il tuo respiro è diverso», gli fece presente, muovendo il bacino piano per far scontrare la sua erezione con quella di Yande.

Quest'ultimo si costrinse a sospirare, soffiando rumorosamente con il naso. Aprì gli occhi, cercando di assumere un'espressione contrariata.

«Speravo che tu la smettessi», ammise.

Leste ridacchiò. Aveva una risata musicale, e quella era un'altra delle sue trappole.

«Hai ancora tanto da imparare sul sottoscritto», mormorò, piegandosi per rubargli un bacio a fior di labbra. Un tocco casto e tenero, in netto contrasto con i continui movimenti del bacino. Yande, infatti, non riuscì a trattenersi dall'emettere un altro sospiro, simile ad un mugugno.

«E se non volessi imparare niente sul tuo conto?», ribatté, portando le mani sui fianchi esili del giovane senza sapere esattamente se voleva o meno fermarlo. Al tatto, la pelle di Leste era morbida e calda come la notte prima.

«Non è forse un po' troppo tardi? Siamo già 'intimi' d'altro canto».

Le sue labbra continuarono a sfiorare quelle di Yande, delicate ed invitanti.

Yande avrebbe voluto rispondere per le rime, mettere le distanze tra loro e ritenere quella questione 'chiusa' - Leste, d'altro canto, aveva ottenuto quello che voleva la notte prima -, ma in quel preciso istante tutte le sue convinzioni sembravano quasi voler venire meno. Che fine aveva fatto il 'non voler far salire a due gli errori mensili'?

Forse il secondo errore lo aveva già commesso permettendo a Leste di restare a dormire lì con lui, ma Yande non era tipo da scacciare i suoi amanti la notte stessa - e neanche il mattino dopo, a quanto pareva.

«Quindi... ci prendiamo cura dei nostri due piccoli problemi e poi andiamo a fare colazione, oppure vuoi di nuovo fingere di dormire?», incalzò Leste, e Yande sospirò ancora prima di sciogliere le sue labbra in un mezzo sorriso.

«Non sono tanto piccoli, ma qualcosa si può fare visto che siamo già qui», accettò, allontanando le mani dai fianchi di Leste, portandole sulle loro due erezioni. Le chiuse entrambe in un unico pugno, e il più giovane sembrò cogliere al volo quell'invito, infatti iniziò sin da subito a muovere il bacino venendo prontamente imitato da Yande.

I gemiti di Leste erano musicali, come la sua risata, e Yande per un momento si perse nell'osservare le espressioni del più giovane. Tutto di quel ragazzino era una minaccia. Era sensuale e malizioso, ma soprattutto era intelligente. Sapeva utilizzare tutte le armi a sua disposizione, dalla magia a quel suo corpo che aveva già catturato parecchi amanti.

A Yande non piaceva l'idea di essere diventato un'altra ipotetica tacca sulla cintura di Leste, ma era ormai troppo tardi per provare pentimento o per tirarsi indietro. Poteva solamente trarre il maggior piacere da quei momenti.

Strinse infatti con più sicurezza la presa sulle loro erezioni, muovendo il bacino per far sfregare il suo sesso contro quello di Leste.

I loro movimenti si fecero presto frenetici, accompagnati da languidi baci e da alti gemiti che andavano a scaldare l'aria di quella stanza che già odorava di sesso. L'orgasmo giunse neanche qualche minuto dopo, forse un po' troppo velocemente, ma altrettanto intenso - tipico di quegli sfoghi mattutini.

Scosso dal piacere appena provato, Leste crollò pigramente contro il petto di Yande, mentre quest'ultimo con il fiato ancora corto, si impegnò per far sparire le fastidiose tracce di sperma con un piccolo ma utile incantesimo.

«Mh... quello è utile. Dovrai insegnarmelo», mormorò divertito Leste, sfregando le labbra sui pettorali muscolosi di Yande. Sembrava quasi un gatto in quell'istante, e il più grande dovette trattenersi dall'iniziare a grattargli la nuca come avrebbe fatto con un felino.

«Vedremo», rispose chiudendo gli occhi, cercando un momento di pace e di equilibrio per poter affrontare il resto della giornata.

«Yande... non dormire, mi devi ancora una colazione», gli fece presente l'altro palesemente divertito.

Yande piegò le labbra in un piccolo sorriso senza però riaprire gli occhi.

«Vedremo», ripeté ancora, con tono tranquillo e senza dare troppo peso a tutte le implicazioni di quella sua risposta.

Non aveva l'abilità di predire il futuro, e giunto a quel punto poteva solo prendere senza troppe lamentele ciò che la vita gli avrebbe offerto.

 
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UNICA ANIMA

Fandom: Obey Me

Personaggi: Beelzebub, Belphegor

Rating: NSFW

Parole: 595

Prompt: Twincest

Note:

  1. Mezza PWP senza troppe pretese XD 


Belphegor stringeva con forza il cuscino a sé, mordendolo e tirandolo con forza con i denti pur di trattenersi dal gemere troppo forte. Ma gli sembrava estremamente complicato farlo mente Beelzebub, con la testa tra le sue gambe - spalancate in modo osceno -, si dava da fare per leccare e succhiare la sua erezione, come se non avesse mai assaggiato niente di più buono.

Il suo gemello era bravo in quel genere di attività, e Belphie non era neanche certo che quello potesse essere un vero complimento perché, d'altro canto, a nessuno - forse solo ad Asmodeus - sarebbe piaciuto sentirsi definire bravo nel sesso orale. In ogni caso, Beel lo era e Belphegor si sentiva davvero fortunato alla sola idea di poter essere l'unico a godere di quelle sue abilità innate.

Gemette ancora contro il cuscino quando sentì la lingua fuggire dalla sua erezione per spostarsi sui testicoli e, inconsciamente, si ritrovò a piantare i piedi sul materasso per poter spingere il bacino verso l'alto ed andare incontro alla bocca di Beelzebub. Lo sentí leccare con attenzione i testicoli, succhiare quella delicata pelle per poi scivolare ancora più in basso, in una parte così sensibile che Belphie non era neanche certo esistesse per davvero. 

Quel piccolo lembo di pelle tra i testicoli e le natiche gli strappó infatti un verso più alto, che neanche il cuscino riuscì a trattenere. Ma a quel punto non gli interessava granché l'essere sentito dagli altri fratelli.

Ansimò il nome di Beel più volte, alzando ulteriormente il bacino per offrirsi a lui, e quando le mani del suo gemello si strinsero sui suoi fianchi, come per sorreggerlo, tutto sembrò quasi crollare. Perché la lingua di Beelzebub andò ad insinuarsi tra le sue natiche, lambendo l'orifizio stretto senza però neanche tentare di violarlo. Si limitò a giocarci, a leccarlo con cura e a premere poi contro quell'apertura senza mai andare oltre.

Lo stava assaggiando e per Belphegor quella era una vera tortura, piacevole ma insopportabile.

Lo pregò di andare avanti, di fare qualcosa - qualsiasi cosa! -, e solo dopo dei momenti che parvero quasi interminabili Belphie sentí finalmente la lingua del suo gemello fare una pressione più forte, fino a penetrare dentro l'orifizio.

Si concesse un verso di sollievo che mutò in altri gemiti e mugolii vogliosi e disperati nel sentire quella lingua muoversi dentro e fuori il suo corpo. Era una sensazione strana ed estremamente piacevole.

Presto infatti il suo corpo iniziò ad assecondare quei movimenti, chiedendo ancora di più. Era raro per Belphegor provare quei desideri così energici, ma era un qualcosa che poteva condividere solo con Beelzebub e nessun'altro, perché unicamente il suo gemello era in grado di risvegliare in lui quell'interesse fisico.

«B-Beel... ti prego», gemette, tentando di dare una voce al volere del suo corpo.

Solo quella supplica sembrò riuscire a destare Beel dalla sua attenta preparazione, incassi si sollevò e lo guardò quasi stupito.

«Sei delizioso, Belphie», mormorò leccandosi le labbra prima di spingersi verso il viso di Belphegor. Lo baciò, sorvrastando il suo corpo esile con il suo ben più possente.

Belphie abbandonò il cuscino per abbracciarlo e stringersi a lui, beandosi di quel calore tanto familiare quanto sensuale. Con una sola certezza a scaldargli ulteriormente il cuore.

Beel gli apparteneva e lui apparteneva a Beel. Non poteva che funzionare in quel modo tra di loro, perché d'altro canto erano gemelli. Un'unica anima divisa in due corpi, che solo in quegli istanti - mentre Beelzebub spingeva con attenzione il suo sesso all'interno del corpo di Belphegor - sembrava riuscire a ricomporsi.


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Fandom: Ensemble Stars

Personaggi: Rinne Amagi, Niki Shiina

Rating: SAFE

Parole: 635

Prompt: Un altro giro della spirale

Note:

  1. Non sono certa dei loro caratteri ma mi piacciono un sacco insieme XD


Il loro live era appena finito e, tra gli applausi e le richieste di un terzo bis, i Crazy:B rientrarono nel backstage. Erano stanchi e sudati, ma dalle loro risate era anche palese la loro esaltazione e soddisfazione.

Erano stati grandiosi e le reazioni del pubblico ne erano la prova più palese e piacevole.

Niki Shiina stesso, nonostante il leggero languorino che stava iniziando a chiudergli lo stomaco, si sentiva felice per la riuscita del live della unit. Come sempre l'emozione che provava nel calcare il palco era intesa e stupenda, ed era tutto talmente bello e perfetto che per un momento riuscì addirittura a convincersi che niente potesse rovinargli l'umore... ma come sempre Rinne Amagi doveva metterci il suo zampino.

Al leader dei Crazy:B piaceva testare la sua fortuna, gli piaceva osare... e più di ogni altra cosa adorava Niki, e quest'ultimo ne era consapevole.

Sapeva di doversi aspettare qualche azione da parte di Rinne ma, scioccamente, aveva pensato di potersi 'salvare', che per una volta il suo compagno non avesse intenzione di fare chissà cosa.

Ma come una roulette, il risultato era incerto. La spirale delle possibilità girava e girava, e con Rinne non si poteva mai sapere il risultato… anche se in quel caso non era di certo inaspettato.

Infatti non si sentí sorpreso quando la mano di Rinne lo bloccò, impedendogli di seguire il resto della unit negli spogliatoi. Emise un verso sorpreso che mutò in un borbottio contrariato quando si ritrovò con le spalle contro il muro.

Alla fine la spirale - quella pazza roulette - aveva scelto dove fermarsi e non gli sarebbe piaciuto.

«Rinne», sibiló cercando di non attirare l'attenzione dello staff al lavoro in quel luogo.

L'altro ragazzo non rispose ma si limitò a sorridere malizioso prima di avventarsi letteralmente sul suo collo.

Nikki sobbalzò portando subito alla bocca la mano per placare il gemito che quel contatto così intimo, ma non inaspettato, gli causò.

La lingua di Rinne scivolò lenta sul collo, salendo poi fino all'orecchio. Lì, le labbra si strinsero sul lobo morbido, tirandolo leggermente con i denti, per poi spostarsi ancora sulla corona, sfiorandola con calma.

Con la mano ancora premuta sulla bocca, Niki cercava disperatamente di trattenere i suoi sospiri ma questi sfuggivano ugualmente al suo controllo. Non voleva dare quella soddisfazione a Rinne, voleva mantenere le distanze e dimostrare di non essere assolutamente attratto da lui né provare qualcosa per quelle attenzioni, ma sfortunatamente il suo corpo lo stava tradendo - complici anche le abilità di Rinne.

Non stava facendo niente di eclatante se non torturargli il collo e l'orecchio destro, tenendo le mani ferme e salde sui suoi fianchi, come per impedirgli di scappare. Tuttavia non erano impositive, non lo stavano realmente privando di una via di fuga... erano lì e basta, e per Niki erano sia una prigione che l'unico appoggio che gli impediva di scivolare lungo il muro, contro il quale Rinne lo aveva bloccato.

Forse si sarebbe dovuto dimostrare più deciso nel rifiutarlo qualche istante prima. Forse doveva proprio risalire a monte e dire a Rinne che non era innamorato di lui, che quei sentimenti non erano ricambiati. Però qualcosa lo bloccava sempre, a partire dalla genuinità dell'altro ragazzo a quel sincero interesse nei suoi confronti.

Niki difficilmente lo avrebbe ammesso apertamente, ma un po' quelle attenzioni - l'essere desiderato in quel modo così genuino e intenso - gli facevano piacere, e non escludeva che fosse anche quello il motivo dei suoi rifiuti così flebili.

Infatti quando Rinne si allontanò, dopo avergli lasciato un doloroso succhiotto - che avrebbe dovuto nascondere sotto chili di fondotinta in vista del prossimo live -, Niki non fu in grado rispondere, né affermativamente né in modo negativo al: «Ti amo Niki~», che Rinne cantilenó dopo avergli baciato la guancia con fare giocoso.


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Fandom: Touken Ranbu

Personaggi: Original Characters

Rating: SAFE

Parole: 1750

Prompt: Prepararsi al viaggio

Note:

  1. Idee casuali che mi vengono mentre gioco a TouRabu Pocket


Read more... )
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Fandom: Promare

Personaggi: Lio Fotia, Galo Thymos

Rating: SAFE

Parole: 2425

Prompt: Inserisci

Note:

  1. OMEGA!GALO È TUTTO. 

 

Era stato un odore dolce di cannella e incenso a spingere Lio a lasciare il suo ufficio per attraversare rapidamente i corridoi deserti della caserma. Era stato improvviso, ma abbastanza forte da risvegliare nell'ex Burnish un fuoco che per anni era rimasto semi-sopito a causa dei Promare.

"C'è un omega nelle vicinanze", pensó infatti, faticando a contenere l'eccitazione che quell'odore stava risvegliando nel suo corpo. Sapeva di non doversi lasciar trasportare in quel modo, ma le sue gambe si stavano muovendo da sole, attratte da quella forza invisibile che si scontró quasi con violenza contro un muro quando si ritrovò a mettere piede negli spogliatoi.

Galo era lì e quell'odore proveniva da lui. Il desiderio provato fino a quel momento sembrò sia venire meno che accendersi di un bisogno ben diverso, che Lio non riuscì a definire in alcun modo.

Si potesse il naso e la bocca con il braccio. Le sue pupille si erano dilatate al solo sentire senza più filtri il profumo emanato da Galo e ma qualcosa gli stava fortunatamente impedendo di lasciarsi guidare dai desideri del suo secondo genere.

«Credevo che tu... fossi un'alfa», mormorò a quel punto, attirando su di sé le attenzioni dell'altro ragazzo. Galo ansimò, appoggiandosi al muro con le braccia strette attorno alla pancia.

«Prendevo dei soppressori ma... ho smesso di prenderli dopo l'arresto e poi è successo tutto così in fretta che mi sono dimenticato», spiegò, il viso arrossato per l'imbarazzo, «avverti Ignis che... sto per entrare in calore. Mi rinchiuderò a casa».

Le labbra si piegarono in un sorriso forzato e tirato, che fece quasi storcere il naso a Lio.

«Hai intenzione di attraversare mezza Promepolis emettendo questo odore?», gli chiese piccato.

«Non posso restare qui, Lio. Sono... inutile in questo stato. E non voglio rischiare che le cose si rovinino con la squadra».

Poteva comprenderlo, ma Lio non poté fare a meno di trovare impossibile l'idea di lasciarlo andare da solo fino al suo appartamento. Galo era ingenuo e non si era mai reso conto degli sguardi che gli altri erano soliti lanciargli. Non importava che fossero Alfa, Beta o addirittura Omega, Galo era in grado di attrarre tutti come una calamita. Lui stesso si era lasciato catturare e trascinare dalla sua personalità.

«Non posso lasciarti andare da solo in ogni caso», rispose, stringendo le labbra nel tentativo di darsi un contegno. Non aveva mai lasciato che fosse il suo secondo genere a comandarlo, e non sarebbe stata quella la prima volta.

«Sono grande e grosso, Lio», rise Galo, «so cavarmela. E non è ancora iniziato... beh, il peggio».

«Insisto», ribatté, «sai benissimo che non accetterò un no come risposta. Hai detto anche tu che prendevi dei soppressori, quindi non sai esattamente quando arriverà il peggio. E se ti trovassi troppo lontano dal tuo appartamento? E non dirmi che ti sai difendere, questo lo so benissimo, ma non potresti fare niente contro un alfa».

«Anche tu sei un alfa», gli fece presente Galo.

Lio sentí le guance più calde, e fece appello a tutto il suo controllo prima di poter rispondere… come se fino a qualche minuto prima non avesse desiderato di prendere e di fare suo il possessore di quell'odore.

«Io mi so controllare e sei...»

«Sono?», lo incalzó Galo costringendo Lio a distogliere lo sguardo, imbarazzato.

«Sei mio amico, okay?»

Il sorriso di Galo si fece più grande e anche dolce, come se quell'unica frase fosse per lui la cosa più importante.

«Siamo migliori amici», lo corresse per poi farsi un poco più serio, «mi fido di te Lio, e so che non faresti niente contro la mia volontà… quindi… accetto il tuo aiuto».

«Non ti farò niente… questo mi pare ovvio», borbottó Lio nervoso, «ora mettiti la giacca addosso. Tirati su il colletto più che puoi. Dovrebbe bloccare un po' l'odore», ordinò, andando verso l'uscita degli spogliatoi. Li lasciò rapidamente, trovando in quella lontananza dei nuovi sentimenti contrastanti.

Da una parte sentiva il sollievo per non essere più così vicino all'oggetto dei suoi desideri, ma dall'altra avvertiva il bisogno di rimanere accanto a Galo. Per sempre.

Mordendosi le labbra, corse verso la sala comune, nella quale trovò Aina intenta a leggere un fumetto. La chiamò, attirando lo sguardo su di sé.

«Sto portando Galo a casa», esordì, anticipando la domanda che sarebbe giunta poco dopo con un: «Sta entrando in calore».

La ragazza, che era una beta, scattò in piedi.

«Come? Ma non stava prendendo i soppressori?!», chiese tanto nervosa quanto sorpresa.

"Tutti lo sapevano tranne me…", pensó distrattamente Lio, allontanando quel pensiero per riprendere a parlare.

«Quell'idiota si è dimenticato di riprenderli», spiegò.

«Sei sicuro di poterlo portare a casa?», chiese Aina, mostrandosi preoccupata. Lio annuì serio.

«Non mi lascio trasportare dagli istinti e non posso di certo permettere che qualcuno allunghi le mani su di lui», ribatté con un pizzico di nervosismo nella voce.

«Vi accompagno?»

«Non voglio lasciare la caserma sguarnita», rispose scuotendo il capo. Il resto della squadra era fuori per un intervento di basso profilo, non potevano lasciare il lavoro in quel modo, «mi assicurerò che vada tutto bene. Tu... avvisa Ignis, okay?»

La preoccupazione era sempre più chiara negli occhi di Aina, ma questa annuì ugualmente. Erano entrambi consapevoli di non poter lasciare Galo da solo e anche se Aina sarebbe stata la scelta migliore per accompagnarlo, era anche vero che essendo una beta non poteva fare granché contro un alfa eccitato dall'odore di un omega un calore.

Si scambiarono un altro breve sguardo per poi separarsi. Lio tornò negli spogliatoi, dove trovò Galo con addosso sua la giacca della Burning Rescue, ma con un'espressione nervosa e le braccia strette attorno al suo stesso corpo, come se stesse cercando di trattenere qualcosa dentro di sé.

«Stai bene?», domandò incerto, trattenendo il respiro. L'odore di Galo era sempre più forte ed era difficile contrastarlo e non pensare a quanto sarebbe stato eccitante averlo tutto attorno al suo corpo.

«Sì... solo che ci sono delle ondate più forti», rispose l'altro ragazzo.

«Ho avvisato Aina... possiamo andare», lo informò, cercando di tagliare corto e di non far pesare troppo la situazione a Galo. Doveva essere complicato per lui e di certo Lio non voleva metterlo ulteriormente a disagio.

Lasciarono entrambi gli spogliatoi, andando nella rimessa dei mezzi dove la moto di Galo stava solitaria in mezzo alle altre vetture. Quello, notò Lio, sarebbe stato un problema.

Ciononostante gli venne spontaneo bloccare Galo quando questo cercò di salirvi sopra per prendere il posto di guida.

«Non credo proprio. Guido io», si impose, «Se ti venisse un'ondata di calore mentre sei alla guida?»

«Non succederà!», esclamò Galo, con un broncio che Lio sentì di poter definire adorabile. Ma forse, cercò di convincersi, quella doveva essere solamente una causa dell'odore che si stava facendo sempre più forte.

«Non importa», ribatté, riprendendo a parlare poi con tono più fermo quando Galo tentò ancora di riaprire bocca: «Galo. Guido io»

Non voleva usare la sua 'voce da alfa' ma gli era venuto spontaneo, forse proprio per via del suo secondo genere che si stava rendendo sempre più conto di quello dell'altro ragazzo.

«... d'accordo», mormorò Galo a labbra strette.

«Mi… mi dispiace», riprese subito Lio, «non volevo».

«Lo so ma... odio quella voce», spiegò. In un attimo tutta la luce sembrava essere sparita dai suoi occhi e Lio si chiese se l'altro avesse mai avuto delle esperienze negative con gli altri alfa.

La risposta, forse più per istinto che per altro, gli arrivò subito sotto forma di un nome: Kray.

Quell'uomo era chiaramente un alfa e Lio poteva solo immaginare in quali modi si fosse imposto con la sua voce su Galo. Forse in passato Galo aveva considerato quelle azioni come un gesto d'affetto, ma alla luce di quello che era accaduto qualche settimana prima, probabilmente aveva aperto gli occhi anche su quelle cose.

«Dai. Se guido io arriveremo prima. lo sai bene», riprese, cercando di dare alla sua voce un tono più allegro per distrarre Galo

Questo gli rivolse un sorriso piccolo ma grato.

«Va bene, ma cerca di non farci schiantare da qualche parte», lo stuzzicó concedendogli le chiavi.

«Sono un pilota migliore di te».

«Ah! Certo. Con una moto burnish. ma questa è una moto vera».

Alzò gli occhi al cielo e si sedette in sella, sbattendo poi la mano sullo spazio alle sue spalle.

«Sali sí o no?»

«Salgo salgo».

Il calore del corpo di Galo e il suo profumo lo avvolsero subito, costringendolo a stringere con forza le mani sui manubri. Doveva mantenere il controllo.

Non importava quanto Galo fosse attraente e irresistibile con quell'odore. Doveva resistere.

Galo era il suo migliore amico, era diventato importante tanto quanto Gueira e Meis se non di più. E non voleva rovinare il loro rapporto pensando come un alfa e non come una persona dotata di cervello.

Accese la moto e con quei pensieri fissi in testa, partì alla volta dell'appartamento dell'altro.

Quelli furono onestamente i cinque minuti più lunghi di tutta la sua esistenza.

Le braccia di Galo attorno alla sua vita, l'ampio petto contro la sua schiena. L'odore. Tutto. Era una tortura e il suo corpo, per quanto volesse negarlo e trattenerlo, aveva iniziato a reagire.

La sua erezione pulsava dolorosa costretta nei pantaloni e difficilmente sarebbe riuscito a nasconderla, sperava solo nell'ingenuità di Galo e nel bisogno di restare chiuso all'interno dell'appartamento.

Parcheggiò la moto all'esterno del palazzo e una volta all'interno dello stabile impose a Galo di prendere l'ascensore mentre lui, balzando rapido sulle scale, si soffermò ad ogni piano fino al quinto per evitare che qualcuno scegliesse di prenderlo nello stesso momento del suo compagno.

Una volta al piano dell'appartamento di Galo, Lio si sentiva ormai al limite. Ansimava sia per la corsa sulle scale che per l'odore sempre più forte di Galo, ma la sua testardaggine gli impediva di arrendersi. Non era solo il suo essere cocciuto, ma anche l'affetto reale che sapeva di provare per Galo… non voleva rovinare tutto.

L'apertura delle porte metalliche dell'ascensore mostró a Lio un'espressione dolorante nel viso di Galo. Si era accasciato contro la parete ed aveva aperto la giacca della Burning Rescue per via del calore sempre più forte.

«L-lio», gemette piano, «fa male…».

Lio dovette mordersi quasi con forza le labbra per non reagire a quella vista tanto invitante e sensuale. Galo non lo avrebbe potuto respingere a quel punto, si sarebbe lasciato fare di tutto… e quella realizzazione era terribile.

Se fosse arrivato un alfa qualsiasi, Galo sarebbe stato vulnerabile… Lio stesso era un pericolo per l'altro ragazzo.

«A-andiamo», balbettó nervoso, aggrappandosi al dolore delle sue labbra torturare dai denti.

Galo faticava a restare in piedi e Lio fu costretto a sorreggerlo sul pianerottolo mentre lo faceva entrare nell'appartamento.

"Devo resistere. Devo resistere", si ripeté senza fine Lio, passo dopo passo, cercando di ignorare i desideri e tutti quei pensieri osceni che lo avrebbero reso pericoloso per Galo.

Lo voleva, ma non in quel modo. Voleva che Galo fosse nel pieno delle sue facoltà mentali e non animato da quel calore così fuori luogo.

Ma era difficile trattenersi, perché il suo compagno sembrava soffrire per davvero e Lio sentiva il bisogno di confortarlo.

Lo portò fino alla camera da letto, lasciandolo cadere sul letto quasi di peso.

«T-ti preparo… dell'acqua perché devi… r-restare idratato», spiegò, tentando sin da subito di mettere un po' di distanza tra sé e il corpo dell'altro.

Galo gemette dolorante, chiudendosi in posizione fetale.

«Male...», si lamentò a denti stretti, ansimando rumorosamente.

Lio si diede rapidamente alla fuga, fondandosi in cucina per prendere sia l'acqua che per infilare la testa sotto il getto ghiacciato del lavandino, sperando che quella sorta di shock termico lo aiutasse a controllarsi.

Poteva farcela, anzi: doveva farcela. Avrebbe portato l'acqua a Galo e lo avrebbe lasciato lì. Doveva essere una cosa semplice che non avrebbe messo a repentaglio la loro amicizia e quel rapporto che per Lio era più importante di ogni altra cosa.

Tremante, ma con quel bisogno ben stampato in mente, tornó sui suoi passi pronto ad affrontare ancora quell'odore tanto dolce e ammaliante.

La scena che lo accolse mise a dura prova il suo autocontrollo, Galo infatti aveva lanciato verso la porta la sua giacca e si era aperto i pantaloni per dare sollievo alla sua erezione, ma più di tutto… stava continuando a gemere il nome di Lio, come se solo quello fosse in grado di donargli un po' di conforto.

Lio fu costretto a trattenere il respiro, ma fece ugualmente qualche passo all'interno della camera.

«La-lascio qui l'acqua», mormorò, «io… devo andare».

«N-no».

La lamentela di Galo lo colpì come uno schiaffo.

«Non posso… non sei in te… io non sono in me», spiegò, incapace di dare alla sua voce un tono sicuro.

L'altro emise un altro gemito lamentoso per quel rifiuto.

«Ma ne ho bisogno», pigoló, «n-non di un alfa… ma di te».

Lio fece un passo indietro, cercando di mettere distanza tra lui e Galo.

«Non sei in te», gracchió.

«Con te vicino… fa meno male», spiegò, come se fosse la cosa più importante e che mise Lio in una posizione scomoda.

Era una dichiarazione o era un desiderio dettato dal calore?

Lio voleva per davvero che fosse una dichiarazione, che Galo lo desiderasse per davvero e non per quello che il secondo genere lo portava a volere in quei momenti.

Cosa doveva fare?

«Galo...», gemette a sua volta, disperato, «quando sarà tutto finito… ne riparleremo».

Era stato difficile pronunciare quelle parole e lo fu ancora di più togliersi la giacca per lanciarla sopra Galo, nella speranza che il suo odore potesse dargli per davvero quel conforto del quale aveva bisogno.

Corse letteralmente fuori dalla stanza, sbattendo la porta alle sue spalle ed appoggiandovisi poi contro per non farla più riaprire.

Sentiva il cuore battergli forte in petto, pronto a esplodere. Neanche quella sorta di barriera, creata dalla porta, riuscì a dargli una sorta di sollievo… perché alle sue spalle c'era ancora Galo. Lo stesso Galo che stava sicuramente utilizzando la sua giacca - il suo odore da alfa - per trovare un po' di conforto da quel dolore.

Si era cacciato in un vero e proprio guaio, e non sapeva come sarebbe riuscito a guardare di nuovo in faccia il suo compagno dopo quel momento.

Avrebbero per davvero affrontato quella discussione? O sarebbero stati entrambi troppo imbarazzati per riuscire a farlo?

Lio non lo sapeva e, in quell'istante, non era certo di volerlo sapere… non mentre i gemiti di Galo iniziavano a riempire l'aria già ardente di quell'appartamento.

Balestra

Mar. 28th, 2020 04:39 pm
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Fandom: Cowtverse

Personaggi: Yande, Leste

Rating: SAFE

Parole: 1785

Prompt: Cowtverse

Note:

  1. Riassumiamo un po' la situazione. Vedo Yande. Carnagione scura. Ero già innamorata. Vedo che ha delle frecce ed ero già tipo partita per mille filmini. Esce la bio ufficiale, leggo "balestra" e il mio cuore esplode. Personaggio del cuore. Best characters ever. Il tutto migliorato quando mi viene confermato che è ambidestro. È il personaggio della vita.

  2. Userò termini tecnici delle balestre perché… beh, sono una balestriera irl e posso donare a Yande la mia conoscenza e pure a voi nelle note finali.


Il silenzio del campo di tiro del palazzo veniva rotto solamente dal netto e secco suono della verretta scoccata da una balestra manesca. Dapprima si poteva sentire lo scatto della noce e della corda quasi all'unisono e infine, il duro 'tac' della punta del dardo che si conficcava nel legno duro del bersaglio. Poi, di nuovo il silenzio.

Yande, soddisfatto dal suo tiro, abbassò la sua manesca, permettendo ai muscoli tesi del suo braccio di rilassarsi. Prese un bel respiro e si sistemó, con un gesto distratto, gli occhiali dalla fine montatura che gli erano leggermente scivolati sul naso.

Con la staffa puntata per terra, caricó per l'ennesima volta la balestra afferrando la corda con le mani e tendendola quasi fino allo stremo per portarla alla noce, dove vi si incastrò con un netto 'clack'. Con la massima attenzione sollevò l'arma e ne sostenne il peso con una sola mano, utilizzando l'altra per prendere un nuova verretta dalla faretra posta sulle sue spalle. La posò sulla leggera incanalatura della piastra di ferro, incastrandola sulla noce.

Erano tutti movimenti metodici, lenti e calcolati, ma soprattutto tutto anche abituali che Yande riusciva ormai a compiere quasi senza pensare. Infatti, se l'uomo si trovava proprio in quel campo da tiro deserto, era proprio per allontanare ogni pensiero e rilassarsi, ma più di ogni altra cosa per ritrovare l'equilibrio.

Sapeva di essere oscenamente sicuro di sé, ed era pienamente consapevole sia delle sue abilità che della sua magia, e proprio per quello sapeva di aver bisogno di tanto in tanto di quegli attimi, lontano da tutto e tutti.

Sollevò infatti l'arma fino a posare la guancia sul legno finemente intagliato della sua arma e, senza perdere la sua concentrazione, puntó gli occhi sul bersaglio. Il braccio in tensione come la corda della balestra, il fiato trattenuto per evitare qualsiasi tremolio che avrebbe potuto inficiare il suo tiro.

Immobile studiò il vento, le labbra si strinsero ulteriormente e con un semplice tocco del grilletto, il dardo si conficcò con quel suo secco 'tac' nel bersaglio.

«Complimenti, un tiro davvero impeccabile!»

Fu un applauso introdurre quella frase che, sfortunatamente, spezzò sia il silenzio del campo da tiro che la concentrazione di Yande, costringendo quest'ultimo a voltarsi verso uno dei porticati in pietra bianca.

Nascosto nella penombra, vi era Leste dell'Orologio uno degli stregoni chiamati in quel luogo per risanare le Lande. Solo quando i loro occhi si incrociarono, il più giovane sembrò decidersi ad abbandonare il suo riparo camminando lentamente verso di lui con un leggero e delicato ondeggiare di fianchi. La luce del sole lo colpì subito, facendo quasi brillare quella sua pelle chiara e liscia come la porcellana.

A Yande, non era mai piaciuto eccessivamente quel ragazzino. Troppi erano i pettegolezzi che giravano attorno a Leste e non era sua intenzione vedersi associato a lui, gettandosi praticamente in pasto alle malelingue. Anche se, ovviamente, non poteva negare di trovarlo piacevole alla vista e anche stuzzicante a livello personale.

Si trattenne dall'accoglierlo con un ben poco gentile "che cosa ci fai qui?", preferendo rivolgergli uno sguardo tra l'interrogativo e l'ostile. Un messaggio chiaro, se solo il più giovane avesse voluto afferrarlo, cosa che evidentemente sembrava non voler fare.

«I miei complimenti sono sinceri, Yande», proseguì infatti Leste, affiancandolo, «non hi mai visto nessuno brandire un'arma così 'rozza' in modo così 'elegante'. Senza rendermene conto, sono quasi rimasto incantato da te».

Parlava in modo chiaro, senza un particolare accento o inclinazione. Ogni sua parola sembrava essere studiata, così come la sua dizione impeccabile. Erano dettagli che Yande non era solito lasciarsi sfuggire, abituato com'era a giudicare sia le persone che gli animali.

«Personalmente ho sempre preferito l'arco alle balestre», proseguì il più giovane, e a Yande non restò altro se non emettere un basso sospiro, toccandosi la montatura degli occhiali in quel suo gesto inconscio e ormai automatico.

«L'arco è un'arma più semplice della balestra. Il portamento richiesto dall'arco deve sposarsi con l'equilibrio del fisico», gli spiegò paziente, incerto se volesse o meno dare una lezione di manesca a quel ragazzino. O meglio: se quella sua zona di pace fosse il luogo adatto per mettere da parte i suoi dubbi nei confronti di Leste.

«Stai stuzzicando il mio interesse, Yande», svelò il più giovane, inclinando il capo e sollevando lentamente le maniche della camicia che indossava, mostrando i polsi fini e la pelle chiara tanto quanto l'altro era scuro, «mi chiedo… potresti farmi da insegnante?», domandò un breve momento di silenzio, nel quale probabilmente aveva permesso a Yande di far scorrere lo sguardo sulle sue braccia messe a nudo.

Sembrava quasi una seduzione e, vista la fama del più giovane, quella forse era la realtà. Yande, tuttavia, sembrò voler scorgere in quelle parole melliflue anche un pizzico di sfida, un qualcosa che per carattere difficilmente sarebbe riuscito a rifiutare, infatti fu il pensiero di poter mostrare a quel ragazzino quanto le balestre fossero delle armi tanto eleganti quanto letali a spingerlo ad accettare.

Le intenzioni di Leste rimanevano in ogni caso chiare, e Yande non escludeva che quell'improvviso interesse nei suoi confronti doveva essere nato proprio a causa del suo atteggiamento scostante.

Come un bambino capriccioso, Leste sembrava voler sempre ottenere ciò che non poteva avere... e che, in quel preciso caso, non avrebbe mai avuto. Perché Yande non era solito concedersi a chiunque, men che meno a dei ragazzi come lui.

Eppure quella silenziosa sfida lo aveva incuriosito, e non tentò neanche di nascondere un'espressione compiaciuta quando porse all'altro la balestra. Era pesante, all'incirca tra i sette e gli otto chili, e sarebbe stato interessante vedere quel ragazzino, dal fisico così esile, cercare di sostenere quel peso solo con un braccio.

Leste accettò l'arma, inarcando le sopracciglia quando la sentí gravare sulle sue braccia, tuttavia la sostenne senza lasciarla cadere. La osservò a lungo, sfiorando con la sola punta delle dita prima il delicato grilletto e poi gli le decorazioni del legno. Era una carezza volutamente lenta, studiata per attirare lo sguardo e, forse, accendere anche i desideri delle persone, e quella considerazione sembrò venire confermata quando Leste alzò lo sguardo su Yande. Gli brillavano gli occhi e le sue labbra erano piegate in un sorrisetto quasi infantile, sul quale però balenó rapida la lingua per inumidirle.

«Allora, la prima lezione?»

Yande raccolse allora da terra il caricatore meccanico della balestra, rimasto fino a quell'istante abbandonato a neanche un metro dalla sua postazione. Era raro per lui utilizzarlo, visto che caricava l'arma a mani nude, ma era ugualmente abituato a portarsi dietro anche quel meccanismo e dubitava che Leste fosse in grado di emularlo.

«Il caricamento prima di tutto», rispose, spiegandogli poi come sistemare la staffa per terra e come posizionare il caricatore in modo da poter tendere la corda.

Leste sembrò ascoltarlo con attenzione, cercando infine di eseguire le sue indicazioni. Inizialmente mostrò un po' di difficoltà ma, dopo qualche tentativo, la corda andò ad incastrarsi nella noce con un suono secco.

«L'arco è più veloce», constató il più giovane, sollevando di nuovo la balestra, facendo attenzione a non sfiorare il grilletto.

«La balestra sa essere più precisa e potente», rispose Yande, assicurando il caricatore alla cintura e prendendo una delle verrette dalla faretra.

«Mi chiedo se… siano anche dei tuoi pregi~», insinuó l'altro con tono malizioso. Sarebbe stato semplice rispondere per le rime, ma Yande preferì non mostrare alcuna reazione né interesse, perché quello era un gioco che si faceva in due e lui non era interessato… o quanto meno non alle regole di Leste.

Con tono calmo, infatti, ignorò quel quesito e spiegò al ragazzino come imbracciare l'arma e fu lui stesso a posare il dardo sulla lastra in ferro quando l'altro si trovò nella posizione giusta.

«Resta immobile», gli disse a quel punto, «trattieni il respiro e prendi la mira», proseguì, aggiungendo poi quali punti seguire per essere sicuro di aver preso bene la mira.

Leste non parve seccato dalla mancanza di reazioni da parte Yande, ma il suo viso fece trasparire quasi rispetto e concentrazione per quello che stava per fare. Era sicuramente consapevole della pericolosità dell'arma che aveva tra le braccia e probabilmente proprio per quello sembrava aver ridotto al minimo i suoi tentativi di seduzione.

Quel pensiero fece quasi sorridere Yande, espressione che mutò in un ghigno quando noto il braccio teso di Leste tremare ed abbassarsi un poco. Fu in quel momento che decise di intervenire e di farlo secondo le sue regole. Non era minimamente interessato a sedurre Leste - anche perché sapeva che gli sarebbe bastato un solo cenno per averlo, anche in quel preciso istante -, ma l'idea di ripagarlo con la stessa moneta non gli dispiaceva.

Portò infatti la mano sulla balestra per aiutare Leste a sorreggere quel peso, andando al tempo stesso ad accostare il suo corpo contro quello del più giovane.

Lo sentí irrigidirsi per un momento, ma proprio per via della pericolosa arma che teneva imbracciata e carica Leste evitò di sottrarsi a quella posizione.

«Mantieni la schiena dritta», gli sussurró piano, abbassando il capo per poter soffiare quelle parole direttamente nell'orecchio dell'altro, «come ti ho detto prima… il portamento del tiro con l'arco deve sposarsi con l'equilibrio del tuo corpo».

Leste piegò un poco le labbra in un sorrisetto, appoggiandosi contro il corpo di Yande.

«In questo modo?», domandò, sfregando le natiche contro il più grande.

Yande mantenne salda la presa sulla balestra, ma non reagì a quella provocazione tutt'altro che inaspettata. Era complicato mantenere quel controllo, ma Yande traeva più soddisfazione nel frustrare Leste che nel concedergli qualcosa.

«Prendi la mira e premi il grilletto» riprese infatti e neanche un secondo dopo, forse guidato dalla fretta il più giovane scocco la sua verretta che colpì il bersaglio senza però avvicinarsi al centro.

Leste abbassò la balestra e si voltó verso Yande in attesa di commenti, ma questi non arrivarono perché l'uomo decise di prendere subito le distanze, avanzando verso i bersagli per poter recuperare i dardi.

«Allora?», lo incalzó Leste, seguendolo con la balestra in spalla.

«Hai molto da imparare», rispose Yande, riponendo le verrette nella sua faretra.

«Con un buon insegnante come te… potrei diventare un ottimo alunno~», insinuó il più giovane con quella sua espressione compiaciuta e furba che, senza ombra di dubbio, era stata un grado di sedurre più di un uomo.

Yande recuperó la balestra e si sistemò gli occhiali, rivolgendogli un ghigno di sfida, certo che Leste avrebbe subito colto le implicazioni delle sue parole.

«Mi spiace, ma non ho mai accettato allievi», rispose con tono calmo, dando poi le spalle al più giovane per allontanarsi e ritirarsi nelle sue stanze, ritrovandosi però a sorridere quasi divertito quando la voce di Leste lo raggiunse con un: «Per ora~»


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La Torre della Dea

Fandom: Fire Emblem Three Houses 

Personaggi: Cyril, Lysithea

Rating: SAFE

Parole: 540

Prompt: Le Parole che il Cuore Sussurra

Note:

  1. A Lera che shippa questi due budini tanto quanto meH

  2. Ispirata al loro finale.


L'aria fresca della Torre della Dea era piacevole contro la sua pelle improvvisamente bollente. Il suo volto era colorato di rosso e il suo cuore aveva iniziato a battere talmente forte da farle quasi male, ma quel dolore era ben poco in confronto a quello che provava nel posare lo sguardo sul volto di Cyril.

Quando aveva accettato quell'appuntamento aveva pensato a tutto, tranne al fatto che il giovane Cavaliere volesse tentare di dichiararsi. In fondo, non si vedevano da anni e le era sembrato quasi ovvio il voler recuperare in qualche modo il tempo perduto chiacchierando lontani da occhi e orecchie indiscrete.

Cyril però aveva visto quella torre come il luogo perfetto per una dichiarazione d'amore. Era stato tenero e coraggioso, e Lysithea si era per davvero emozionata nel sentire quelle parole.

«Ti devo tanto e questo lo sai bene. Sei stata un'amica oltre che una compagna d'armi, una confidente e anche un osso duro da affrontare!», le aveva detto con una mezza risata, «Sei sempre stata importante per me, e solo il tempo trascorso lontani mi ha aiutato a comprendere realmente i miei sentimenti. Per questo motivo, ti chiedo di accettare il mio corteggiamento perché desidero più di ogni altra cosa al mondo condividere tutto con te».

Per un momento, Lysithea, aveva pensato di essere sul punto di morire. Sapeva che la sua aspettativa di vita era molto corta ma l'idea di morire per l'imbarazzo non era mai rientrata nei suoi programmi.

Neanche innamorarsi era mai stato un suo desiderio. Certo, in passato aveva sognato il grande amore, aveva pianto nel rendersi conto che non avrebbe mai avuto una vita normale come quella delle altre ragazze, e aveva infine dovuto mettere davanti a tutto - perfino davanti a se stessa - la sua famiglia e ciò che andava fatto.

L'amore era quindi diventato un qualcosa di superfluo, un sogno infantile del quale aveva imparato a fare a meno. Almeno fino a quell'istante, perché nel suo continuo allontanare le persone, nel mostrarsi non interessata al romanticismo, non aveva messo in conto i sentimenti degli altri... e Cyril era lì, con quel suo bel viso dalla carnagione scura baciato alla luna che accarezzava la Torre della Dea, in attesa di una risposta.

«Io...», esalò, senza sapere esattamente cosa dire. Strinse una mano a pugno, portandola all'altezza del cuore come se quello potesse placarlo e permetterle di trovare le parole per rispondere alla dichiarazione del ragazzo.

Razionalmente sapeva di dover rifiutare, ma sentiva la bocca impastata - come se si fosse appena mangiata due bignè interi - e non riusciva proprio a pronunciare neanche il più piccolo: "No".

«Possiamo... almeno provarci?», pigolò Cyril. Le sue guance si erano colorate lentamente di una tonalità più scura, sia per l'imbarazzo che per la crescente attesa.


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Fandom: Fire Emblem Three Houses

Personaggi: Yuri

Rating: SAFE

Parole: 220

Prompt: Amicus curiae - 'amico della corte'

Note:

  1. LA cosa che Yuri vende il suo corpo è… a tratti canon XD


Yuri Leclerc era quello che, nel gergo del Fòdlan, veniva definito 'amico della corte'. Non era un termine per così dire 'gentile', perché veniva utilizzato per descrivere chi era solito farsi strada utilizzando il proprio corpo come merce di scambio... e Yuri era esattamente una di quelle persone.

Non ne andava fiero, quello era ovvio, ma non poteva permettersi di mostrare a nessuno quei sentimenti - nemmeno a se stesso. Provare qualcosa di diverso dalla sicurezza, dalla malizia e dalla furbizia, nel suo mondo significava rischiare la vita. Non che la sua esistenza fosse poi così importante, ma altre vite dipendevano dalla sua e quello per Yuri era estremamente importante.

Fin quando poteva proteggere le persone che amava, assicurare loro una vita agiata e priva di pericoli, non gli importava di venire definito 'amico della corte' o 'puttana'. Non gli importava dover vendere il suo corpo per un tozzo di pane o per qualche altro bene di prima necessità.

Sua madre e i suoi amici meritavano solo il meglio, e Yuri era davvero disposto a dare ogni singola parte del suo corpo e spirito solo ed esclusivamente per il loro bene.

Solo di tanto in tanto sentiva il peso delle oscenità gravare sulle sue spalle, ma il sorriso di quelle persone per lui così importante, lo aiutava sempre a risollevarsi.


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Fandom: Fire Emblem Three Houses 

Personaggi: Claude von Riegan (Khalid)

Rating: SAFE

Parole: 215

Prompt: Vivere militare est - 'Vivere è combattere'

Note:

  1. Hanno appena confermato che Claude è un nome falso e non potevo non sfruttarlo per analizzare ancora il suo passato <3


Khalid era abituato a combattere per sopravvivere, per quel motivo aveva sempre associato la vita ad un combattimento, ad una lotta continua per la sopravvivenza.

Questo perché, sin da quando aveva memoria, la sua esistenza era stata costellata da innumerevoli pericoli, il più delle volte provenienti dalla sua stessa famiglia. Aveva parecchi fratellastri che non avevano preso bene il nuovo matrimonio del padre, il sovrano di Almyria, e lo avevano visto un po' come una minaccia. La conseguenza era stata più che ovvia: tentativi di omicidio.

Pericoli che Khalid aveva superato spesso grazie a Nader, ed altrettante volte grazie alla sua sua mente sveglia e furba.

L'unica cosa che non poteva evitare, era il pensiero del popolo di Almyria che lo vedeva come un 'figlio del Fòdlan'. Non uno di loro, neanche la somiglianza con suo padre gli evitava quegli ‘insulti’ né il fatto che la sua stessa madre fosse diventata una delle guerriere più temute e rispettate di tutta la regione.

La chiusura mentale di quella gente era il nemico più grande che Khalid si era ritrovato ad affrontare e lo aveva portato a sviluppare un desiderio.

Un’immagine di libertà e uguaglianza, di apertura dei confini e di vere alleanze, un mondo nel quale esistere non significava per forza combattere ma più semplicemente vivere.


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Fandom: Fire Emblem Three Houses

Personaggi: Yuri, Hapi

Rating: SAFE

Parole: 300

Prompt: Dum loquor, hora fugit - 'Mentre parlo, l'ora fugge' (Ovidio)

Note:

  1. Ispirata al support tra questi due. Che sono adorabili insieme ç___ç


Seduti sotto il cielo stellato, Yuri non poteva fare a meno di ascoltare Hapi quasi affascinato mentre la sua compagna gli parlava di tutte quelle costellazioni dai nomi talvolta improbabili ma che, attraverso i racconti della ragazza, sembravano sensati.

Yuri era sempre stato curioso e affamato di conoscenza, ma la sua vita aveva sempre avuto ben altre priorità e non gli era stato possibile sanare quella sete, per quel motivo si sentiva disposto anche a passare l'intera notte ad ascoltare Hapi che, con la sua voce calma, lo trasportava in quelle lontane stelle.

Il suo unico nemico, durante quei momenti, era il tempo. Perso com'era in quei racconti, il più delle volte Yuri neanche si rendeva conto delle ore che erano trascorse veloci e inesorabili, impossibili da arrestare.

«Si è fatto tardi», gli faceva presente la sua compagna a quel momento e Yuri, un poco dispiaciuto non poteva far altro se non annuire.

«Non sembrerebbe», ammise sincero, tenendo d'occhio Hapi che, con un mugolio, si stiracchiò.

«Tra poco verranno gli altri a darci il cambio», commentò ancora la ragazza, giocando con una ciocca dei suoi capelli.

«... sei stanca?», le chiese ed Hapi, sbattendo gli occhi, lo fissò confusa, «Potremo spostarci e... continuare?»

A quel punto, la ragazza sorrise palesemente divertita. Per un momento, Yuri pensò di trovarsi davanti ad una risposta affermativa, ma Hapi scosse il capo.

«Yuyu, lasciati un po' di storie per i prossimi giorni», rispose con tono leggero, «prometto che ci sarà una prossima volta».

Non aveva motivo di dubitare delle parole della sua compagna e Yuri, a quel punto, dovette accettare, sperando al tempo stesso di trovare un modo per 'allungare il tempo'. Era impossibile, lo sapeva, ma avrebbe fatto di tutto per impedire al tempo di scorrere mentre Hapi parlava con lui delle stelle.
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